Nel periodo estivo, non si contano le fiere, le sagre, le feste contadine organizzate da associazioni, produttori, enti locali in tutta Italia.
Da un po' di tempo, vanno di moda le iniziative che propongono prodotti tipici, a "filiera corta" o a km zero, e - soprattutto - biologici. E va di moda accostare, a tali iniziative, la parola "etica". Prodotti "sostenibili", sensibilità etica, "rispetto"...
Quante volte, però, dietro a queste parole - tanto altisonanti quanto generiche - si cela la vendita di prodotti della sofferenza animale?
Quante volte, poi, organizzare una festa in cui accanto al pomodorino biologico vengono distribuiti pezzi di corpi animali come se niente fosse è un modo per tranquillizzare tutte le persone che al pensiero delle violenze subite dagli animali iniziano a storcere il naso?
Quante volte si tratta di un pretesto per occultare un massacro generalizzato ricordando che lo sfruttamento può essere "sostenibile"?
Ma sopratutto: lo sfruttamento può mai essere sostenibile?
Pubblichiamo la lettera di un'attivista che ha scritto ad una delle tante feste "etiche", la Bio-festa di Polpenazze (BS).