"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

mercoledì 11 gennaio 2012

SERVIZI TELEVISIVI AMBIGUI: Stoppa, fratello o schiavista?


Lettera aperta a Striscia la notizia
Se ogni giorno il nostro cervello viene bombardato di informazioni di ogni tipo da radio, tv e giornali, nell'ultimo periodo si è presentato ai nostri occhi un fenomeno che ai più potrebbe sembrare di vera informazione. Proprio nell'ora di cena, mentre allegre famigliole stanno desinando, un noto tg satirico presenta agli occhi degli italiani le piaghe sociali che affliggono il Belpaese, mostrando in servizi spot ciò che viene ogni giorno perpetrato ai danni della società.
Quasi ogni sera è possibile vedere l'inviato Edoardo Stoppa, ribattezzato il fratello degli animali, alle prese con animali non umani di ogni specie, da Vicenza ad Aragona. E' lui il vero paladino degli animali, che parla di vacche maltrattate durante i trasporti insieme a Polstrada e Ulss vicentine, oppure narra di canili lager (o mancanza di canili) nell'agrigentino, passando per la spinosa questione dei cani rinchiusi nell'allevamento per la vivisezione Green Hill 2001 di Montichiari in provincia di Brescia, senza dimenticare i cavalli del frusinate tenuti legati a catena dentro camper in disuso con tanto di flebo in bella vista. Lì era addirittura bastata una stretta di mano per porre fine allo scempio nei confronti del Gondrano del momento. Mentre i più, animalisti e no, dunque, cantano le lodi del fratello degli animali e invocano da tutta Italia il suo intervento, altri - stanchi delle strette di mano e delle invocazioni retoriche di decreti legislativi mai più approvati – tentano di guardare oltre.
E vedono che il primo dicembre 2011 Edoardo Stoppa si pronuncia su un allevamento di maiali posti sotto sequestro, dove a causa di un contenzioso con un fornitore di mangimi 300 mila maiali stanno morendo di fame.
Di primo acchito sembrerebbe che l’amico sia lì per salvare tutti dall’inedia; addirittura che la sua missione sia quella di renderli tutti felici e finalmente liberi. Niente di più falso. Quando l'allevatore – si tratta di un allevamento intensivo di decine di migliaia di maiali, nulla a che vedere con un’idealizzata fattoria – si produce in un pianto poco convincente, Stoppa pare commosso e del tutto partecipe dell’infelicità della vittima della situazione: lo sfortunato allevatore.
Sapendo, come ci è stato detto, che si tratta di un allevamento intensivo e quindi del tipo in cui le condizioni di vita degli animali detenuti fino al giorno della vendita all’industria alimentare comprendono castrazioni a vivo e amputazioni, oltre che una successione infinita di parti e la gestazione in contenzione per le scrofe, ci si domanda come sia possibile che Stoppa non sia affatto al corrente di tutto ciò e che invece invochi per i maiali moribondi quelle “cure mediche” che spetterebbero loro di diritto.
La beffa continua quando il conduttore ci informa contrito che ben cinquecento “cuccioli” stanno morendo perché non vengono più nutriti dalle madri (le quali giacciono abuliche al suolo), mentre quelli già svezzati periranno di una morte… udite, udite: INUTILE. Sì, abbiamo sentito bene: la morte dei maialini senza cibo è nient’ altro che inutile. Riteniamo molto grave che il conduttore finga di non sapere che quei teneri piccoli sono quello che normalmente finisce nel piatto – anche nel suo, Stoppa non risulta essere vegetariano – attraverso il passaggio obbligato del macello. Com’è altrettanto grave che egli sostenga (animato da quella che non si può che definire falsa ingenuità) un’idea tanto ambigua sull’esistenza dell’allevamento di maiali che sta visitando e sulla fine che aspetta ognuno di quei trentamila individui, senza distinzione - cuccioli inclusi.
Dalla scelta dell’aggettivo inutile traspare inequivocabilmente quale sia davvero l’opinione di Stoppa. Perché - e per chi - sarebbe mai inutile, questa morte? Ma per l’allevatore! Il quale avrebbe potuto vendere i malcapitati – o spedirli al macello – prima di vederli deperire senza produrre reddito, prima che si deteriorassero come merce avariata, inutile materia inerte, morta ma non più commestibile. Un vero spreco, non c’è che dire.
Quei trentamila maiali non sono dunque esseri senzienti privati di una libertà mai avuta, bensì oggetti di proprietà che possono essere posti sotto sequestro e lasciati morire, considerato che sia per definizione (animali da carne) che per nascita (allevamento) il destino che li aspetta è la reificazione in cibo attraverso il passaggio obbligato nell’industria alimentare. Carne da macello, appunto.
Non commuovono le false lacrime - o lacrime false? - dell’ipocrita allevatore che dichiara al pubblico televisivo di sentirsi “violentato dentro” in un metaforico ribaltamento di prospettiva che risulterebbe ridicolo, se non fosse preoccupante: quanti tra gli animalisti davanti allo schermo valuteranno quell’esibizione sentimentale per quello che è: carità pelosa che sancisce e giustifica che ogni anno vengano messi a morte 800 milioni di animali per l’industria alimentare? Quanti non si faranno abbagliare dal buon cuore del sedicente fratello degli animali, da quel vecchio pietismo zoofilo che se fa chiudere un canile lager non prende posizione contro lo sfruttamento animale?
Stoppa così si rende rappresentante di un modo di rapportarsi agli altri animali superato, un atteggiamento che mantiene i rapporti di gerarchia e di distinzione e che non solo pone gli esseri umani su uno scalino diverso - e più alto - rispetto agli animali tutti, ma ordina anche gli animali secondo la specie di appartenenza. Secondo questa forma mentis non solo gli esseri umani non sono animali, ma neppure gli animali sono tutti uguali: gli animali cosiddetti “da reddito”, infatti, hanno come prospettiva socialmente accettata la schiavitù e la morte per diventare o produrre cibo (latte, uova) per il consumo (non solo umano). Alcuni animali sono meno uguali degli altri, ci insegna il loro sedicente fratello e - poco audace - difensore.
Sul medesimo contestabile assunto pesa la nostra società antropocentrica e specista, che non teme minimamente interventi come quelli di Stoppa poiché essi non solo non la pongono in discussione ma la garantiscono sulla base del principio secondo cui ognuno deve restare al proprio posto, come previsto dalla tradizione, dalla storia. L’unica responsabilità riconosciuta agli sfruttatori resterebbe dunque quella del benessere, perché se la morte deve essere utile, la sofferenza è inutile – e sciupa la materia prima.
Così si tacitano le coscienze, così ci si mette l’animo in pace: trattare bene i morituri è presentata come un’auspicabile pratica umana, mentre si tratta solo di un’ambigua pratica di redenzione necessaria a tutta l’umanità che ritiene imprescindibile il proprio diritto di cibarsi di altri – ma non di tutti gli altri! - animali.
Che Edoardo Stoppa esibisca stupore e si scandalizzi di fronte al destino a cui sono stati abbandonati trentamila animali da macello non fa che evidenziare l’ambiguità della sua presa di posizione, ammesso che di presa di posizione si possa parlare. Il suo buon cuore non è molto diverso da quello dell’allevatore che trae reddito da chi vende e acquista (e manda al macello, ma tratta bene) e dell’animalista che salva il gattino e si mangia la bistecca a pranzo.
La superficialità con cui Stoppa parla di argomenti come questo, senza alcun approfondimento critico, mostra quanto il suo messaggio sia ambiguo: inneggiando alla vita e alla salute di animali destinati a diventare carne, nasconde una verità che è lampante nelle nostre coscienze ma che non si può portare alla luce perché equivarrebbe ad ammettere che nel piatto c’è parte di qualcuno che aveva occhi e cuore, aveva sentimenti e provava dolore. Il fratello degli animali preferisce fingere di non sapere che quei maiali e maialini, che vediamo in tv all'ora di cena insieme ai nostri figli, sono teneri e commoventi ed è una crudeltà farli soffrire, ma faranno comunque una brutta fine: moriranno di morte violenta entro le mura di un lurido macello, lontano dalle telecamere e dagli occhi di tutti, tra urla strazianti e sangue rappreso, sangue dei suoi fratelli animali, sangue di nostri fratelli non umani… ma poi, sarebbe ancora possibile dire che il prosciutto è buono e fa bene? Ancora possibile mangiarlo? Ancora possibile definirsi fratello degli animali?


Oltre la Specie