"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

martedì 26 luglio 2016

Ci vuole un bel coraggio



Ci vuole un bel coraggio a dire che non fanno pubblicità agli allevatori.

Non sapremmo in che altro modo commentare l'ennesima "vittoria" di CIWF - Compassion in World Farming. Ma forse, ogni commento è superfluo.


da CIWF:

Il vento del cambiamento è arrivato anche in Italia


giovedì 14 luglio 2016

venerdì 8 luglio 2016

“Sapere come vivono fa la differenza”: per chi?





E’ recente la notizia della nascita di una nuova associazione, Allevamento Etico, con tanto di Manifesto  e “Criteri di eticità”.

Fra i banner pubblicitari del sito leggiamo questo mirabolante slogan: “Sapere come vivono fa la differenza”. Che differenza? Per chi? Alcune risposte le troviamo proprio nell’articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”.

Per cominciare, perchè tanto impegno nel promuovere modalità di allevamento non intensivo? Il motivo è presto detto. La preoccupazione per la salute umana, per l’ambiente e per l’insopportabile livello di violenza sugli animali che gli allevamenti intensivi comportano inducono i consumatori a fare qualche riflessione: “In molti chiedono un’alternativa. Che non è necessariamente una scelta vegana”. Prima ammissione senza pudore: il problema è che gli scandali degli antibiotici nella carne e la presa di coscienza relativa alla sensibilità animale possono portare le persone a smettere di mangiare carne e magari – non sia mai – a prendere parte attiva ai movimenti a favore dell’autodeterminazione dei non umani. Quindi, è bene che qualcuno si prenda la briga di riportare questi turbamenti nell’ambito di una più gestibile esortazione a consumare meno carne e “di qualità”, senza farmaci e con maggiori standard di “benessere” degli schiavi che la producono. Insomma, come annuncia l’articolo, “l’alternativa non è solo veg”!

Ma che cosa sarà mai questo benessere animale (che non si capisce bene che posto occupi accanto al desiderio di mangiare carne buona o di non ingurgitare ormoni insieme al latte di mucca)?