"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

lunedì 30 maggio 2011

foto contestazione slow fish

GEAPRESS:Primo resoconto della contestazione a Slow Fish 2011

alcuni attivisti simulano la morte dei pesci per soffocamento e schiacciamento nella rete

Slow fish – la manifestazione … contro

GEAPRESS – Imprigionati nelle reti da pesca, senza possibilità di scampo in una lunga agonia, così gli attivisti del Progetto “BioViolenza” hanno rappresentato davanti agli ingressi della Fiera di Genova, dove si tiene la kermesse Slow Fish, la loro denuncia verso le crudeltà inflitte agli abitanti dei mari....
....Un centinaio di animalisti e antispecisti provenienti anche da Milano, Brescia, Pisa, e Piemonte hanno così contestato quella che vuole essere l’evento dedicato alla pesca “sostenibile” legata all’organizzazione di Slow Food e sostenuta dalla regione Liguria. segue>>



i veri protagionisti della kermesse...morti!Genova: slow fish o slow death?


Kermesse sulla pesca "sostenibile": Carlo Petrini apre agli animalisti, ma negli stand solito macabro campionario.


GEAPRESS – Aperta oggi la quinta edizione di Slow Fish presso la Fiera di Genova, fino a lunedì 30 la manifestazione voluta da Slow Food ed enti locali liguri per promuovere la pesca non industriale ma legata alle tradizioni locali.

Gli animalisti di BioViolenza vogliono però mettere sotto i riflettori la sofferenza silenziosa degli abitanti dei mari, milioni di pesci, crostacei e molluschi vittime anche delle pesche tradizionali, oltretutto anche loro complici del depauperamento dei mari ormai accertato anche dagli organismi internazionali indipendenti. segue>>

(fonte GEAPRESS )

sabato 28 maggio 2011

Cruelty free web radio: Genova, domani presidio contro SlowFish


Slow Food è un'associazione no-profit che attualmente conta circa 100 000 iscritti con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito e aderenti in 130 paesi.

Nasce dalla voglia di promuovere stili di vita lontani dai modelli consumistici che ci vengono normalmente propinati; la sua filosofia è promuovere un'alimentazione sana, rispettando i ritmi delle stagioni, salvaguardando le tradizioni enogastronomiche locali, imparando a riconoscere e a dare importanza ai luoghi di produzione dei cibi che mangiamo, difendendo le specie autoctone e in via di estinzione.....Nasce, dunque, la fiera SlowFish che mira a tutelare le risorse marine e a salvaguardare appunto un mestiere che da queste risorse dipende.Dunque, ricapitolando pesca gusto, divertimento e reddito.

Ma chi sono i protagonisti assoluti (loro malgrado) di questa fiera? Gli chef? I pescatori? I visitatori?

No! I protagonisti inconsapevoli sono i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, laghi e fiumi, i più dimenticati, i più ignorati e i più indifferenti tra gli animali, spesso non considerati anche da coloro che si definiscono animalisti.

Messi in palio o ceduti in premio in occasione di pesche, lotterie, tiri a segno, maltrattati nei negozi di animali, nei ristoranti o nelle pescherie, i pesci, come molti altri animali, sono considerati oggetti inanimati di cui l'uomo può disporre a proprio piacimento. Per rendersi conto di quanto questi esseri subiscano nel quotidiano continui maltrattamenti, basta munirsi di un regolamento comunale per la tutela degli animali ove previsto o della legge 189/2004 per rendersi conto che la maggior parte dei negozi che vendono pesci, li detengono senza rispettare le loro caratteristiche etologiche, le dimensioni degli acquari e i sistemi di depurazione, oppure è sufficiente entrare in un ristorante per accorgersi che i crostacei hanno le chele permanentemente legate o ancora possiamo notare che la maggior parte delle pescherie li adagiano sul ghiaccio vivi ovviamente e per di più con le chele legate. segue>>

lunedì 23 maggio 2011

MOBILITIAMOCI: PRESIDIO CONTRO SLOWFISH

sulla terra si chiama sterminio- in mare si chiama pesca
QUANDO LA MORTE NON FA RUMORE: L’OLOCAUSTO DEI PESCI
PRESIDIO CONTRO SLOWFISH - GENOVA, DOMENICA 29 MAGGIO .

Gli attivisti del progetto BioViolenza hanno indetto un presidio nel quadro delle iniziative di contestazione alla fiera "SlowFish", che si svolgera' a Genova dal 27 al 30 maggio, giorni in cui i pescatori di Slow Food, con il patrocinio della Regione Liguria, esibiranno il massacro dei pesci a cittadini e scolaresche da tutta Italia.

GENOVA, DOMENICA 29 MAGGIO - FIERA (P.LE KENNEDY) - h. 10.30

E' piu' che mai necessario che il dolore di queste vittime trovi voce: prepariamo una mobilitazione da tutto il paese per gridare il nostro sdegno!

Sono previsti per ora pullman da Milano e Torino.

-Il pullman da Milano partirà alle 8.30 da piazzale Cadorna,con rientro a Milano Cadorna entro le 22.30.
Il costo massimo a persona è di 17 euro.
Per prenotazioni e pagamento quota (entro il 22/5): bioviolenza@gmail.com – tel. 335-8376756

-Per informazioni sul pullman da Torino (e Ivrea): carmagnola085@gmail.com

Chi volesse organizzare pullman da altre citta' e' pregato di comunicarlo prima possibile a: bioviolenza@gmail.com .


Per informazioni sul progetto BioViolenza: bioviolenza@gmail.com


Oltre la specie: Risposta a FederFauna sul servizio del TG1



Quella che segue è una risposta di OLS a FederFauna, nello specifico a
questo articolo>>

Scriviamo questa lettera a nome di Oltre la Specie, in merito alla contestazione di FederFauna al servizio “Allevamenti da incubo” mandato in onda dal Tg1 del 20 Maggio 2011.

La principale preoccupazione di FederFauna, di fronte ad un servizio sugli allevamenti andato in onda in prima serata su RaiUno, sembra essere quella della “par condicio” mediatica riguardo al tema in questione.

Pare molto scandaloso - a costoro - che per fare un servizio sullo sfruttamento animale ci si sia affidati a degli animalisti, un po’ come ci si potrebbe scandalizzare se di cervelli parlassero i neurologi.

Quando si tratta di animali sfruttati per la loro carne, per il loro latte o per qualche altro redditizio prodotto, due sono essenzialmente le parti in causa: gli allevatori e gli animali.

Nelle varie occasioni in cui il tema viene affrontato sui mezzi di comunicazione di massa, è notoriamente raro che il punto di vista degli animali emerga, anche solo in forma di “contraddittorio” espresso da singoli o associazioni animaliste. Intere puntate di trasmissioni rivolte ai consumatori italiani si prodigano nel mostrare la bontà degli allevamenti nostrani, intervistando mungitori, macellai, proprietari di aziende agricole, rappresentanti di categoria, senza mai mettere in dubbio la legittimità del loro operato, senza mai domandarsi se chi viene munto e mandato al mattatoio sia della stessa opinione.

Non dubitiamo del fatto che molti dei dati presentati da allevatori e zootecnici possano essere formalmente corretti: in alcune aziende gli animali “godono” di spazi un po’ più ampi, in alcune mangiano foraggio biologico, in altre gli animali vengono lasciati in vita qualche settimana in più, in altre ancora il latte delle mucche viene in parte conservato per i figli che sono stati loro tolti alla nascita. Tuttavia, nessuno pone le domande fondamentali: che diritto abbiamo di disporre della vita di esseri in grado di gioire e soffrire esattamente come noi? Che diritto abbiamo di segregarli, inseminarli a forza, separarli dai genitori, mutilarli, riempirli di farmaci e infine mandarli al macello quando cominciano a rappresentare un costo eccessivo? "Non hanno forse organi, membra, sensi, affetti, passioni? Se li pungiamo non sanguinano? Non muoiono se li avveleniamo?"

Di fronte a queste domande, la par condicio è violata apertamente ogni giorno, su ogni canale televisivo, ogni stazione radio, ogni quotidiano.

Pensando a quegli animali – esseri in grado di soffrire - sfruttati fino alla morte, non possiamo sinceramente trovare alcuna scorrettezza in un servizio che ha finalmente detto le cose come stanno, lasciando agli spettatori la possibilità di riflettere autonomamente, ridando voce – attraverso gli animalisti – a coloro che sono stati esclusi dalla considerazione morale. Siamo certi che la voce di chi trae profitto da queste vite e da queste sofferenze avrà ampio spazio per ribattere al punto di vista degli animali, a partire da domani.

Arriverà mai un giorno in cui ogni volta che qualcuno pubblica o trasmette l’apologia di queste attività, in cui ogni volta che qualcuno denigra a mezzo stampa chi ha scelto di non mangiare carne, latte e uova, in cui ogni volta che qualcuno sminuisce la dignità degli animali e delle lotte in loro difesa, sarà data possibilità di replica agli animalisti, anzi ormai usiamo il termine corretto: agli antispecisti? Se mai questo tempo arriverà, saremo ben lieti di offrire altrettanto spazio a chi gli animali li sfrutta, per provare ad argomentare a favore della schiavitù animale.

Due altre cose vorremmo però sottolineare per completare la nostra risposta a FederFauna.

Il comunicato stampa afferma quanto segue: “Qualsiasi produzione animale è garantita essenzialmente dal benessere, dalla salute e da un’appropriata alimentazione degli animali”. È evidente che abbiamo visioni diverse del concetto di benessere, e forse anche di salute. Nel caso specifico, dobbiamo dedurre che per FederFauna il benessere di un vitello è compatibile con la separazione dalla madre alla nascita, o con la sua reclusione in un box in cui riesce a malapena a girarsi su se stesso. Speriamo solo che non intendano applicare il loro concetto di benessere anche agli umani: nessuno può essere così cinico da giustificare – in nome della produttività o della qualità di una produzione – la separazione di un bambino dalla madre e la sua reclusione in una gabbietta. E nessuno potrebbe essere poi così impudente da far notare che in fondo al figlio viene dato proprio il latte della madre che non vedrà mai più.

Inoltre, nel comunicato si legge: “Persone che rappresentano solo se stessi, quali sono gli animalisti, hanno potuto veicolare il loro punto di vista a danno dell’allevamento italiano, ad un pubblico di Cittadini che vuole sicuramente bene agli animali, ma che per la stragrande maggioranza il latte lo beve e la carne la mangia”. A prescindere dal fatto che probabilmente la maggior parte dei consumatori umani mangia animali e loro prodotti anche perché non ha mai avuto modo di vedere da dove realmente provengano tali prelibatezze, ci permettiamo di dissentire su questo concetto di rappresentanza, in cui è contenuta tutta la millenaria arroganza del genere umano. No, noi animalisti non rappresentiamo noi stessi o i nostri interessi, come invece è palesemente il caso di FederFauna. Al contrario, ci sforziamo di rappresentare gli interessi di tutti quegli individui che non appartengono alla nostra specie, ma che sono – tuttavia – molto più numerosi dei consumatori stessi: centinaia di milioni di animali solo in Italia, rinchiusi ed uccisi, animali che se potessero non ci penserebbero due volte a battersi per l’abolizione totale di ogni allevamento e di ogni mattatoio. Sono, e devono essere gli animalisti a preoccuparsi degli animali. Perché? Perché sono gli unici che hanno prestato gli occhi agli animali per piangere, e la bocca per esprimere liberamente il loro dissenso al morire.

Ma poi, vorreste che fossero i sorveglianti a descrivervi la realtà dei campi di concentramento? Potrebbero mai loro raccontare obiettivamente l’orrore che lì ha luogo? Un carnefice potrebbe mai raccontare con obiettività e con sguardo compassionevole la crudele, violenta e dolorosa fine a cui condanna le proprie vittime? Chi compie atti disumani e crudeli su altri individui, senza alcun rimorso di coscienza o senza averne reale consapevolezza, potrà mai renderne conto con obiettività? Ma in generale, vorreste mai sentire un’unica campana, magari la più interessata dal punto di vista economico, su argomenti di importanza vitale per voi stessi e la società?

Questa è la pretesa degli allevatori: essere l’unica voce a raccontare la realtà degli allevamenti. Pretendono che i recinti in cui rinchiudono gli animali, ingozzandoli per farli crescere oltre misura e velocemente per portarli il prima possibile al patibolo, siano silenziosi e inaccessibili per secretare l’orrore di ciò che avviene al loro interno e rendere invisibile alle coscienze dei consumatori l’urlo di disperazione che proviene da ognuna di quelle vittime a cui è impedito di godere la vita e la libertà che sono loro proprie.

Gli allevatori, probabilmente per generazioni, hanno zittito le proprie coscienze, si sono abituati alla violenza tanto da poterla praticare quotidianamente come fosse la cosa più normale al mondo, si sono resi sordi e ciechi agli sguardi e alle urla di terrore degli animali imprigionati negli allevamenti. E pretendono che ognuno di noi faccia la stessa cosa, pretendono che la sensibilità che è in noi soccomba per poter continuare ad uccidere, boccone dopo boccone, miliardi di vite animali. Pretendono che l’abitudine alla violenza, assopendo le nostre coscienze, ci renda dei carnefici inconsapevoli. Possiamo permettere che la nostra umanità, il senso di pietà e la compassione, che ci distinguono da loro, soccombano davanti agli interessi economici di un gruppo molto ristretto di individui e già ampiamente sovvenzionato dalle istituzioni con le nostre tasse? Vogliamo che sia il denaro il valore fondante la nostra società, o vogliamo che lo siano la giustizia, la libertà, il rispetto per la vita, per tutte quelle vite animali i cui corpi sono quotidianamente segregati, straziati, smembrati, ridotti a brandelli insieme alle nostre coscienze e alla nostra umanità? Null’altro che questo chiedono gli animalisti e gli antispecisti: che si inizi a guardare con compassione e rispetto al nostro rapporto con gli animali; che si dia agli animali la possibilità di dirci quanto amano la vita e la libertà, e di vivere liberamente le loro vite, proprio come è dato ad ognuno di noi.

Nella prigionia, in qualunque forma di prigionia, non può esserci benessere. Nella negazione di una vita libera e piena non possono esserci amore e rispetto. Risulta ingenuo, o forse ipocrita, chi parla di benessere e amore per gli animali mentre li tiene in catene e all’ingrasso per poi mandarli, prima che giunga il loro tempo naturale, alla morte, ad una morte atroce, crudele, violenta.

Chi ha perso la capacità di avere compassione e pietà verso il dolore e la sofferenza degli altri, dei deboli, degli indifesi (come lo sono gli animali negli allevamenti), e, ancor più, chi ha zittito la propria coscienza a tal punto da poter compiere, senza scrupoli, azioni e lavori violenti e crudeli, ha bisogno di aiuto perché recuperi quell’umanità che ha smarrito. Egli stesso è vittima di un sistema economico e produttivo che obbliga alla disumanizzazione. È necessario che la società intera, ognuno di noi, si faccia carico di questo enorme problema. La “questione animale”, il modo in cui trattiamo gli animali non riguarda esclusivamente le vite degli animali, ma è fondamentale anche per comprendere chi siamo e chi, come specie e come società, vogliamo essere. È necessario iniziare a pensare, insieme, noi insieme agli animali, ad un mondo diverso dove prevalgano il rispetto per la vita e la libertà piuttosto che l’egoismo, l’arroganza e l’avidità. Questo è l’antispecismo che tanto spaventa FederFauna: la fine autentica di ogni forma di oppressione. Un mondo senza violenza possibile a partire da noi stessi, e dalla nostra testimonianza personale e militanza politica. Noi, questa speranza di un mondo migliore, la serbiamo anche per voi. E dunque prenderemo le vostre critiche, ancora una volta, come un monito ad andare avanti e a consentire, ai vostri nipoti di non vergognarsi per i loro nonni che sapevano ma restavano in silenzio. Che guardavano la morte degli altri animali e ne gioivano in cambio di un pasto succulento. Qualcosa di buono, in questo mondo c’è. Rifletteteci un po’ prima di rispondere d’impulso ogni qualvolta un cambiamento radicale vi si palesa davanti.

Oltre la specie

venerdì 13 maggio 2011

Articolo di un'attivista "contro slowfish"


Sono Ligure ma vivo poco fuori Milano. Mio papà per molti anni è stato cuoco nel ristorante di famiglia (dove le specialità erano tutte a base di pesce) e tra le tante cose che ricordo ce n'è una in particolare che mi ha sempre turbata: quando l’aragosta veniva messa viva in pentola e io sentivo urlare questo povero crostaceo… impotente, incredula, immatura mi allontanavo per non sentire più le urla, ma tutto questo mi rendeva profondamente triste…
Sono passati molti anni e io sono combiata, ho deciso che era giusto rispettare ogni essere vivente e ritengo che non siano da meno gli abitanti dei mari.
Proprio per questo insieme agli attivisti del progetto BioViolenza parteciperò al presidio (il 29 Maggio, Fiera P.le Kennedy) nel quadro delle iniziative di contestazione alla fiera “SlowFish” che si svolgerà a Genova dal 27 al 30 Maggio. segue>>

martedì 10 maggio 2011

"Liberazione": Slow Fish a Genova, pronta la contestazione

articolo su liberazione per mobilitazione a genova
di Alessandra Galbiati

Saranno in tanti, domenica 29 maggio a Genova, a contestare Slow Fish. Un’iniziativa che si preannuncia all’insegna della “sostenibilità” e delle antiche arti della pesca. L’evento è patrocinato da Comune, Provincia e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed è direttamente connesso a Slow Food.
Ci si può legittimamente domandare come mai gli animalisti si mobilitino contro una manifestazione che per molti versi promuove un cambiamento degli stili di vita più consumistici: un’alimentazione più sana, il rispetto degli equilibri dei mari, delle acque e della biodiversità, la difesa di categorie di lavoratori in pericolo di estinguersi (i pescatori), il ritorno ad antiche tradizioni culinarie e marinare, la difesa di specie autoctone o in via di estinzione.
Tra gli animali, i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, dei fiumi e dei laghi sono in assoluto i più ignorati. Non che la sofferenza degli altri animali da reddito importi molto, ma sicuramente è più facile pensare di poter uccidere e sventrare un pesce che non un maiale o un coniglio. Non trattandosi di mammiferi, non riuscendo minimamente a rapportarci a loro e conoscendoli quasi esclusivamente sotto forma di cibo, la loro vita ci è totalmente estranea. La sofferenza dei pesci è invisibile, inudibile e quindi, per molti, inesistente. L’agonia per asfissia dei pesci può essere lunghissima (fino a decine di ore), ma chiunque si sia fermato qualche minuto a osservare un placido e bonario pescatore sulla riva del fiume, sa che i salti e il boccheggiare di questi animali nel cestello appoggiato sull’erba non smuovono minimamente la compassione e l’empatia della persona in questione. Se si domanda qualcosa riguardo alla morte lentissima e crudelissima cui questo particolare tipo di cacciatore ha condannato le sue vittime, ci si sente rispondere in maniera fantasiosa: «Ma sono pesci, non sentono niente», «è lui che ha abboccato all’amo, mica io che l’ho rincorso», «se non lo pescavo io se lo mangiava comunque un pesce più grande».
Queste risposte, senza stare ad analizzarle, danno prova dell’umana arroganza rispetto agli altri animali e di quanto molti siano indifferenti verso gli animali considerati a loro volta inferiori tra gli inferiori. Un bravo pescatore libererà dalle reti del peschereccio il delfino o la tartaruga marina rimasta impigliata (sempre che siano ancora vivi). Non pescherà i tonni piccoli e le altre specie in via di estinzione. Metterà in atto tutti quegli atteggiamenti e accorgimenti di “rispetto” per preservare il mare da ulteriori devastazioni. Ma il fatto che questa attività implichi l’uccisione di altre vite non viene mai messo in discussione. E qui non stiamo parlando di un surfista che uccide un pescecane che lo sta attaccando o di popolazioni che se non mangiassero pesce morirebbero di fame. Stiamo parlando di cibo di lusso, da mangiare “poco ma buono”, servito da famosi chef nei ristori di Slow Fish con menù da 40 euro.
Tutta questa etica esibita sulle nuove bandiere della eco-compatibilità, della sostenibilità, del biologico, non prende mai in considerazione la sofferenza degli altri. Si deve prestare la massima attenzione soltanto a noi, al nostro benessere, al nostro paesaggio (terrestre o marino fa poca differenza), per preservarlo per i nostri figli e nipoti. Il nostro impegno si ferma qui, la nostra etica, purtroppo, anche.
Che i veri abitanti dei mari vengano sventrati a miliardi ogni anno (nessuno ha una stima neppure precisa del numero di pesci e crostacei uccisi nel mondo), che siano esattamente loro il vero “paesaggio” che si dovrebbe proteggere, che si possa cominciare a pensare ad una decrescita della violenza (oltre che dei consumi), sono pensieri ignoti ai teorici della sostenibilità. Al massimo si riesce a strappare qualche frase (e qualche regolamento) contro le forme più gravi di maltrattamento animale, ma questo solo per gli animali allevati, non certo per la sardina o il polpo sul tavolo della pescheria.
Già nei bambini, l’empatia nei confronti dei pesci è scoraggiata. Pesciolini rossi vengono regalati come fossero cioccolatini a feste e fiere. Pesciolini combattenti vengono tenuti in bicchieri da tavola e gli acquari o - peggio ancora - le bocce d’acqua, sono tra gli oggetti di “arredo” più diffusi nelle case italiane. Mentre quasi tutti i genitori inorridirebbero se il figlioletto imbracciasse un fucile e andasse a caccia di animali nel bosco, ben pochi si opporrebbero se il bimbo sedesse con una canna da pesca a cercare di uccidere pesci (spesso vengono anche organizzate gare di pesca per bambini e bambine).
I pesci occupano un posto particolare nell’immaginario. Da un lato ci fanno entrare, con la fantasia, in un mondo sconosciuto e affascinante, ma poi, quando si tratta di imprigionarli, ucciderli e mangiarli, allora tornano ad essere quelle cose di poco conto che a migliaia si espongono sulle bancarelle dei mercati. I pescherecci issano dal mare reti contenenti miliardi di animali che, nel migliore dei casi, muoiono schiacciati sotto il peso dei loro simili; nel peggiore, dopo ore di muta - ma non per questo meno reale - sofferenza.
La contestazione a Slow Fish è promossa dal neonato progetto “Bio-Violenza”: www.bioviolenza.blogspot.com. Il mercato, rispondendo alle istanze di maggiore consapevolezza del consumatore occidentale, da qualche anno ha iniziato a proporre prodotti più “etici” e in sintonia con la crescente sensibilità per i problemi ambientali. La carne “bio”, il latte e le uova “bio”, i formaggi “bio” sembrano formule magiche che fanno svanire per incanto (e perché il consumatore sensibile cerca proprio di acquietare i suoi sensi di colpa) le terribili condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Cancellare - o illudersi di poterlo fare - la sofferenza brutale dell’allevamento industriale non significa per nulla, però, mettere in dubbio la violenza con cui condanniamo alla morte gli altri esseri viventi. Anzi, rincuorati dalle nostre presunte “buone intenzioni” diventiamo ancora più riluttanti a porci la domanda più importante: chi ci autorizza a uccidere senza necessità?

(fonte: www.liberazione.it)

sabato 7 maggio 2011

VEGANch’io, area feste del Comune di Vimercate (MB)

veganch'io

Dal 2 al 4 settembre presso l’area feste del Comune di Vimercate (MB), in via degli Atleti, si terrà la sesta edizione del festival antispecista VEGANch’io, organizzato da Oltre la Specie (www.oltrelaspecie.org) in collaborazione con Food not Bombs Romagna.
L’antispecismo considera immorale continuare a discriminare gli altri animali (e quindi mangiarli, sperimentarli e utilizzarli per vestiario e arredamento o nei mille modi in cui la nostra società li ha trasformati in merce e strumenti) sulla base di differenze ininfluenti dal punto di vista etico. Da una citazione di H. Kaplan: «I nostri nipoti un giorno ci chiederanno: “Tu dov’eri durante l’olocausto degli animali? Che cosa hai fatto per fermare questi crimini orribili?” A quel punto non potremo usare la stessa giustificazione per la seconda volta, dicendo che non lo sapevamo». Il festival, che contiene tutti gli ingredienti della festa popolare (cibo, bevande, musica, cinema, ballo, ecc.), sarà l’occasione per confrontarsi con la terribile condizione a cui costringiamo quotidianamente milioni di non umani. Ci saranno mostre, dibattiti, filmati sull’argomento e sarà anche un’occasione per avvicinarsi allo stile di vita vegan, che non prevede alcun tipo di sfruttamento animale (dal cibo che si mangia, ai vestiti che si indossano, dai cosmetici e detergenti che si usano, agli spettacoli a cui si assiste). I cuochi della festa saranno, come sempre, gli attivisti di Food not Bombs, gruppo che si impegna a raccogliere, cucinare e distribuire cibo gratuitamente in molte città del mondo. Alla logica della decrescita e della sostenibilità si ispirano anche i corsi e le conferenze che verranno tenuti durante la manifestazione, improntati al rispetto per i non umani e ad una forte critica della società del consumo e dello sfruttamento intensivo delle risorse. Parte essenziale del festival, oltre al cibo squisito, cruelty-free, biologico e a prezzo popolare, saranno le manifestazioni culturali, i dibattiti, le letture e gli incontri. La mattinata inizierà con una lezione di yoga, un torneo di biliardino e una colazione con cappuccini e torte. La sera si concluderà con giochi di gruppo. Il titolo della manifestazione veganch’IO è un invito alla realizzazione di un’etica declinata in prima persona. In un mondo che è così com’è anche perché si pensa sempre che siano gli altri che dovrebbero o non dovrebbero fare questo e quello, («Il mondo va male perché il potente di turno vuole così; quindi io non posso farci nulla»), l’appello a prendere posizione in prima persona a favore dei più deboli ci sembra particolarmente importante.

Il programma completo dell'evento sarà disponibile al seguente indirizzo: www.veganchio.org
info@veganchio.org oppure 335-8376756.

8/5 Genova ore 11. Volantinaggio antiacquario

volantinaggio : no all'acquario
Genovesi o circondario, villeggianti della domenica e volontari, per un'ora vi aspettiamo per dire NO davanti alla prigione per pesci e pinguini!!!

RESOCONTO: dunque che dire ? eravamo pochi ma buoni . Il volantinaggio ha mandato in stato di allarme i vigilantes che hanno chiamato i carabinieri per farci allontanare dalle casse ( pare che l'area antistante la PRIGIONE sia di un privato e quindi l'ente acquario ha vietato il volantinaggio di OGNI genere sul SUO territorio.
Ovviamente la cosa non ci ha scomposti e abbiamo volantinato a pochi metri dalle casse OLTRE il confine di stato. Sono stati fatti dei minicomizi. Altri con i loro cartelli chiedevano ai passanti che senso aveva pagare per vedere dei pupazzi schiavi. Insomma si son ben accorti della nostra presenza e il pubblico ha dato parecchi consensi ( specie quelli che uscivano).

mercoledì 4 maggio 2011

Prima di morire, si mise a piangere...



Boris, il toro salvato da Hillside Animal Sanctuary, (in Inghilterra) da un allevamento di produzione industriale, dove per le spaventose condizioni di vita si era ammalato. Anche se, una volta salvato, ha ricevuto tutte le cure, non è riuscito a sopravvivere. Prima di morire, si mise a piangere con il suo custode, forse per riconoscenza, forse per disperazione per non avere più forza. Tutti gli animali sentono e soffrono come te.