"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

venerdì 8 luglio 2016

“Sapere come vivono fa la differenza”: per chi?





E’ recente la notizia della nascita di una nuova associazione, Allevamento Etico, con tanto di Manifesto  e “Criteri di eticità”.

Fra i banner pubblicitari del sito leggiamo questo mirabolante slogan: “Sapere come vivono fa la differenza”. Che differenza? Per chi? Alcune risposte le troviamo proprio nell’articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”.

Per cominciare, perchè tanto impegno nel promuovere modalità di allevamento non intensivo? Il motivo è presto detto. La preoccupazione per la salute umana, per l’ambiente e per l’insopportabile livello di violenza sugli animali che gli allevamenti intensivi comportano inducono i consumatori a fare qualche riflessione: “In molti chiedono un’alternativa. Che non è necessariamente una scelta vegana”. Prima ammissione senza pudore: il problema è che gli scandali degli antibiotici nella carne e la presa di coscienza relativa alla sensibilità animale possono portare le persone a smettere di mangiare carne e magari – non sia mai – a prendere parte attiva ai movimenti a favore dell’autodeterminazione dei non umani. Quindi, è bene che qualcuno si prenda la briga di riportare questi turbamenti nell’ambito di una più gestibile esortazione a consumare meno carne e “di qualità”, senza farmaci e con maggiori standard di “benessere” degli schiavi che la producono. Insomma, come annuncia l’articolo, “l’alternativa non è solo veg”!

Ma che cosa sarà mai questo benessere animale (che non si capisce bene che posto occupi accanto al desiderio di mangiare carne buona o di non ingurgitare ormoni insieme al latte di mucca)?

Il punto di partenza è il seguente: “fra i punti salienti il rispetto delle cinque libertà elencate nel 1965 dal Brambell Report”. Di queste cinque “libertà” abbiamo già parlato, e rimandiamo a quanto avevamo già avuto modo di osservare. E come vengono declinate queste libertà? Con il solito mix di requisiti legati un po’ alla salute del consumatore, un po’ alla volontà di preservare l’ecosistema, un po’ al benessere animale, appunto. Talvolta un po’ vaghi, chè non si sa mai che l’obiettivo principale (produrre e vendere) ne risenta... “Spazi e strutture adeguati”, “alimentazione corretta”, “buon rapporto di fiducia con il personale”, “cure e farmaci prevalentemente naturali”, “allevamento a ciclo chiuso” (i corsivi sono nostri). Alcuni principi-guida, però, sono più impegnativi. 

Per esempio: “rispetto dei comportamenti specie-specifici”. Ci chiediamo se farsi mungere da un umano sia un comportamento specie-specifico, o se lo sia farsi sellare e cavalcare, per un cavallo, o farsi fecondare da un maschio scelto dai gestori dell’azienda (quella che chiamano “inseminazione naturale”, uno dei punti di forza di Allevamento Etico). Del resto, è una domanda oziosa: ragionando su cosa è o non è naturale, si può sostenere qualsiasi cosa, purchè ci torni comoda. In fondo, sono degli umani che decidono qual è il comportamento più consono a una mucca (da latte), a un maiale (da carne), a una gallina (ovaiola).

Un’altra regolina significativa è poi la seguente: “trasporto breve e macello a km zero”. Essere macellati sul posto diventa quasi un privilegio. Si sa che il condannato a morte non deve soffrire troppo, altrimenti il popolo può esserne turbato. Se poi il condannato dobbiamo mangiarcelo, abbiamo pure il timore che il vigliacco si vendichi producendo sostanze dannose e mettendole in circolo nel suo corpo, giusto poco prima che diventi una bistecca. Anzi, questa preoccupazione per lo stress degli ultimi momenti di vita prima del mattatoio può affinarsi, approfondirsi, specializzarsi e raggiungere livelli demenziali. Una delle aziende che aderiscono a questa “certificazione” si è inventata un procedimento particolarmente originale per macellare i maiali senza farli preoccupare troppo. Attenzione, perchè quanto segue potrebbe impressionare le persone sensibili.
“Il macello dista 15 km, ma a cascina Bagaggera hanno un metodo particolare per evitare lo stress di dover salire sul camion e del trasporto: viene messo un carro aperto qualche giorno prima, mettendo del cibo sul carro così da abituarli a non aver paura a salire. La sera prima della partenza vengono poi caricati solo i 2-3 che dovranno affrontare il viaggio (il carro ha un giaciglio di paglia) e la mattina seguente parte il carro, i suini verranno macellati subito al loro arrivo.”

Questa “trovata” ha suscitato in noi una tristezza infinita, forse maggiore di quella che si prova a guardare certi video provenienti dagli allevamenti intensivi. Ma ci ricordava anche qualcos’altro. Che cosa? Sforzandoci un po’, ci è venuto in mente che queste righe assomigliano ai consigli dei veterinari o degli etologi sui “trucchi” da usare per mettere il “proprio” gatto nel trasportino e portarlo dal veterinario: fatelo abituare alla gabbietta, lasciatela lì spesso, aperta e con qualche croccantino, e lui familiarizzerà con questo strumento fastidioso di cui non potete fare a meno. L’unica differenza è che il gatto verrà messo in gabbia, per poco tempo, per essere portato dal veterinario, si suppone a ricevere delle cure. Il maiale finirà al mattatoio, invece.
Anche questa piccola differenza è di una tristezza infinita.