"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

martedì 18 settembre 2012

La coop sei tu


L'immagine qui a fianco è tratta da un manifesto pubblicitario COOP.
"Oltre al danno, la beffa", verrebbe da dire.
 Ma, per l'ennesima volta, dobbiamo ricordare che la beffa non è fine a se stessa. Essa fa parte di una strategia che mira a sdoganare la mattanza degli animali - ed il consumo dei loro corpi - come fenomeni accettabili, la cui problematicità può essere ignorata grazie all'intervento degli specialisti del "benessere animale". Nessun complottismo da quattro soldi: non è una strategia occulta, ma un meccanismo che perlopiù agisce autonomamente, con qualche piccolo aiutino da parte del marketing più scaltro e lungimirante.

Certo, i pubblicitari che hanno ideato questo manifesto devono avere bene in mente che esiste una fetta di consumatori che prediligono un supermercato che ha fatto dell'"etica" il proprio marchio di fabbrica, e che questi consumatori si impressionano quando pensano agli allevamenti intensivi, a migliaia di mucche private dei figli e stipate in spazi angusti. E dunque - non sia mai! -, gli animali COOP hanno "tutte le cure che meritano". E chissà perchè nessuno dice quali sono queste cure. Forse così è più facile immaginarsi immensi prati verdi popolati da bovini felici al pascolo.
Ma soprattutto, è più facile non pensare alla fine che faranno, questi schiavi più "fortunati" a marchio COOP. La stessa dei loro simili rinchiusi negli allevamenti industriali, in sostanza, quella che nessuno - a conti fatti - meriterebbe: il macello.

Varie volte abbiamo denunciato la retorica della "carne felice". Raramente, però, ci è sembrata così appropriata, un'immagine, per mostrare come essa opera. Si suggerisce, qui, che lo schiavo sia contento di donarsi a noi. Un gesto di cuore,  di una generosità simboleggiata dalle corna a forma, appunto, di cuore. Quasi grottesche, a ben vedere, sotto una frase che non dissimula neppure il reale status di queste vittime dell'industria "sostenibile": "capi di bestiame", una sorta di lapsus del marketing della carne felice.