"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

Visualizzazione post con etichetta carne felice. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta carne felice. Mostra tutti i post

giovedì 21 dicembre 2023

Dawn of the Nugget: non esiste la carne felice

 Dawn of the Nugget: non esiste la carne felice

di Giulia Barison


A distanza di 23 anni dall'uscita di "Chicken Run", Sam Fell ne dirige il sequel, "Dawn of the Nugget".

Quando uscì il film di Peter Lord e Nick Park avevo solo sei anni, lo amai, ma non ero in grado di capirne il significato più profondo. Lo riguardai durante i primi anni di università, quando ero già vegana da tempo, e capii che si trattava di un film chiaramente schierato contro il sistema dell'allevamento e del profitto sulla pelle degli animali.

Due estati fa lo guardai una terza volta al festival antispecista di Hambach, quando finalmente avevo gli strumenti teorici per rendermi conto che quella messa in atto dalle protagoniste di "Chicken Run" era resistenza animale.

23 anni dopo, "Dawn of the Nugget" mette sì nuovamente in scena quella stessa resistenza, ma fa molto di più.

giovedì 21 gennaio 2021

Un punto di vista antispecista sulle capre appartenute ad Agitu Ideo Gudeta


 

da Global Project

Pubblichiamo di seguito un testo scritto da una compagna del centro sociale Bruno di Trento che, attraverso gli strumenti di lettura dell'antispecismo, pone una riflessione in merito alle capre appartenute ad Agitu Ideo Gudeta. Questo testo vuole portare un punto di vista diverso e contemporaneamente stimolare un dibattito sui temi dinnanzi ai quali ci pone l'antispecismo.

 

Nell’Italia sessista e razzista dei giorni nostri, dove una donna in quanto donna viene uccisa con metodica regolarità una volta ogni tre giorni, e dove le morti nel Mediterraneo dellə disperatə in fuga da guerra e povertà nemmeno vengono più conteggiate, capita talvolta che un particolare fatto di cronaca riesca in breve tempo a tracimare dalla stampa locale e a scalare la classifica delle notizie tanto da diventare virale su tutti i mezzi di comunicazione, travalicando anche i confini nazionali. Che si tratti di razzismo o di sessismo poco importa, ci sono sempre “vittime ideali”, quelle della cui morte violenta i media si impegnano a raccontare ogni dettaglio, con inquietante dovizia di particolari e sulle quali l’opinione pubblica del “bar sport-Italia” ha sempre qualcosa da commentare.

L’orrendo femminicidio di cui è stata vittima Agitu Ideo Gudeta è diventato nel giro di poche ore uno di questi casi, e così stampa, TV e in particolare certi bassifondi dei social network si sono sperticati in ogni genere di sproloqui e narrazioni tossiche a 360 gradi. Da un lato le più becere narrazioni razziste dove, una volta identificato il responsabile, non si è esitato a esprimersi rispetto all’omicida nei termini di “bestia ghanese” o a gongolare del fatto che quello che in un primo momento si sospettava essere un delitto di matrice razziale era invece una storia di “africani che si ammazzano tra loro”. Dall’altro una narrazione più sottilmente razzista, ovvero quella dell’elogio a reti unificate della memoria del deserving migrant[1] in opposizione alla condanna unanime dell'(altro)immigrato - da subito identificato come “clandestino” - evidentemente colpevole di non essere riuscito “ad integrarsi” quel tanto che basta ad allontanarsi dagli “incivili usi e costumi” tipici del suo continente di origine. 

Prosegui su Global Project

 

venerdì 1 maggio 2020

La bio-violenza ai tempi del Covid

Una copertina della rivista Farm Journal's Pork. Nell'immagine, in primo piano un allevatore sorridente tiene in braccio un cucciolo di maiale; davanti, la scritta "Speak out".
Farm Journal's Pork (una copertina)

La bio-violenza ai tempi del COVID-19 è un’idea semplice e raggelante, un ossimoro che se pronunciato avrebbe le parole “Ti amo, perciò ti ammazzo”.
È un’idea onnipresente, che attraversa tutti i settori dello sfruttamento.

Ci sono gli zoo e le “drastiche e più drammatiche decisioni” minacciate dallo zoo di Pombia, qualora i visitatori non avessero supportato il Safari Park con l’acquisto di biglietti da usare in un futuro indefinito. Questo ovviamente perché loro amano gli animali. E quindi possono anche ammazzarli.
Ancora più sincero è l’amore dello zoo di Neumster, in Germania, che ipotizza di uccidere alcuni animali per sfamarne altri. I primi a morire, in caso, sarebbero cervi e capre.
Poi ci sono i circhi, che per troppo amore se la prendono con gli animalisti che non stanno aiutando i loro animali ora, nel momento nel vero bisogno. Non importa che ci siano realtà non a scopo di lucro, come i canili e i rifugi, che sono anch’esse allo stremo e a cui questi animalisti magari danno il loro supporto. L’amore rende ciechi e fa sembrare logico che un animalista debba fornire i mezzi a un oppressore per continuare a mantenere… il suo amore. 

giovedì 20 giugno 2019

Senza piume, senza corna, senza senso: le nuove frontiere della carne felice



mucca nanaIl paradigma della carne felice, che ha visto la sua massima diffusione nell’ultimo decennio, nasce per rassicurare il disagio di quanti, di fronte all’esistenza degli allevamenti intensivi, si interrogano sull’eticità di sottoporre altri esseri senzienti a terribili condizioni di reclusione e sfruttamento e sulla sostenibilità ecologica di queste strutture.
La bio-violenza della prima ora ha risposto a queste critiche proponendo dei modelli di produzione bucolici, che evocassero la tradizione e un passato idealizzato. I simboli di questa narrativa sono la vecchia fattoria familiare, il contadino “di una volta” e animali liberi di scorrazzare per la campagna.
Proprio perché questo passato “premoderno” è sconosciuto al cittadino occidentale medio, esso è risultato affascinante ed è parso una risposta credibile a quanti, antropocentricamente, non hanno mai messo in dubbio lo status degli animali come proprietà.
La bio-violenza delle origini, quindi, con un gesto solo apparentemente rivoluzionario, ha concesso che gli animali fossero individui (e non più oggetti), ma non ha mai messo in dubbio che la loro sorte potesse essere discussa e decisa al di fuori delle scelte individuali di consumo.
Nel tempo, la narrativa sul benessere animale e sulla sostenibilità degli allevamenti si è arricchita di nuovi contributi, molti dei quali si ascrivono al ruolo sacrale che la tecnologia riveste nel legittimare il capitalismo.
Si è quindi approdati ad una bio-violenza 2.0, dove la sostenibilità e il benessere animale sono raggiungibili in un modo ancora più ideologicamente allineato, ovvero attribuendo alla specie umana ancora maggiori diritti di controllo e manipolazione sui corpi degli animali non umani.
In questo articolo si affrontano quindi, seppur in modo non esaustivo, alcune delle novità che l’industria ha proposto o introdotto per rispondere alle pressioni sul benessere animale e sulla sostenibilità ambientale e che dovrebbero essere da monito per quanti credono che gli argomenti indiretti possano portare alla liberazione animale o che producano effettivo progresso!

giovedì 24 maggio 2018

Quando l’orrore è solo una questione di forma





Commento al video realizzato da Free John Doe, mandato in onda il 20/5/2018 da Le Iene.

Link al servizio televisivo: facebook.com/SeiVeganoSe/videos/2001078316873949/ (fino al 22/5/2018 era sulla pagina de Le Iene, ma è stato rimosso).

Le immagini mostrano la brutalità quotidiana del luogo in cui ci troviamo; le inquadrature riprendono occhi, tremori, tumefazioni, deiezioni, agonie ignorate. L’audio capta urla stridenti, che coprono i respiri affannosi di chi sta morendo in solitudine.
La voce fuori campo elenca una serie di dati e numeri: antibiotici somministrati preventivamente, per evitare epidemie; topi - quegli untori! -, che, andando a nutrirsi nei capannoni industriali, sono additati come portatori di malattie trasmissibili ANCHE all’Uomo, nel momento stesso in cui  ingerirà quei corpi macellati.

L’intervistatrice parla (con esperti, impiegati nell’allevamento, NAS, ecc.) del buco dell’ozono, sporcizia, “benessere animale”, alimentazione … Nessuna parola, non una, proprio nessuna, viene spesa sul sistema istituzionalizzato di sterminio che tutt* stanno vedendo, in quello stesso preciso istante, con i loro occhi.
Finché si continuerà a parlare dei benefici che l’umano potrebbe ottenere grazie alla diminuzione del consumo alimentare di “carne”, finché continueremo a trattare gli altri animali come “comparse” anziché come  “protagonisti” della lotta di liberazione animale, continueremo anche a diffondere la favola della “carne felice”, un discorso vecchio e già “industrializzato” da Farinetti & Co. (leggi, p. es., bioviolenza.blogspot.it/2017/10/27-ottobre-milano-presidio-contro-il.html).

Il sistema ci ha addomesticat* al dolore altrui, tanto da renderci incapaci di schierarci dalla parte di chi è sfruttato, maltrattato, ucciso, e di ripetere invece le parole d’ordine del dominatore, che ha fatto della morte altrui un business!
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, …” Ogni nove il decimo muore.
I nazisti usavano questo metodo per eliminare i corpi animalizzati. Anche lì, quello era solo il decimo: “Shit!” (“Merda!”). 
Nel commento a questo video, il messaggio che passa non sono certo le ragioni a favore dell’autodeterminazione di ogni individuo. Ciò che passa è solo che uno su dieci muore, così, senza una ragione, solo perché è l’anello più debole della catena. Come la bambina palestinese di 8 mesi morta perché nata dalla parte sbagliata di un muro, di una linea di confine.

lunedì 26 marzo 2018

Napoli: il Comune vieta alle macellerie di esporre animali morti


Napoli: il Comune vieta alle macellerie di esporre animali morti.


L’ipocrisia regna sovrana. Come sempre.
Non è l'uccisione a suscitare orrore ma la sua esibizione pubblica.

Togliere la morte (degli altri) dalle vetrine è un buon espediente per vivere (noi) più serenamente. 
Specialmente a Pasqua, lieto evento, in cui dovremmo volerci bene.
E’ utile fare finta che la violenza sugli animali non esista. Si preservano, così, i bambini e le persone dal cuore gentile.

Il problema della sofferenza degli animali si risolve nel proteggere NOI dalla vista della sofferenza.
Certo, se ammazzi qualcun* è sempre preferibile farlo senza che gli altri vedano i resti della vittima… 
Sarebbe interessante, comunque, fare un giro al mercato di Ballarò in questi giorni e vedere come viene recepita l’ordinanza.

Ma con i polli arrosto, che girano sfrigolanti tutto l’anno sugli spiedi di quasi tutti i supermercati, come faremo? 

martedì 14 novembre 2017

FICO: il macello non si vede


Segnaliamo un interessante resoconto di Davide Turrini, apparso su Il Fatto Quotidiano, relativo al parco agroalimentare FICO (Eataly). Come si può vedere, la kermesse di Farinetti è, tra le altre cose, un inno alla carne "felice" e allo sfruttamento animale.

"C’è da dire che la tristezza che mettono quei poveri maialini tutti colorati che mangiucchiano bacche dietro le sbarre di una gabbia e ti vengono ad annusare la mano, è unica. Sono animali da esposizione. Ce ne saranno una trentina. Uno per specie. Le mucche vivranno sempre lì, i maiali una volta grandi verranno sostituiti come per magia da quelli più piccoli e presentabili. Sarà il ciclo della vita, la tradizione, il rapporto uomo animale dalla notte dei tempi, ma la pena nel vederli assieme a cavalli, ciuchini e caprette è pari solo a quella provata di fronte ai rassegnati animali da circo costretti con la forza a compiere azioni inconsulte per i voleri del domatore".

FICO, il parco agroalimentare più grande del mondo? Tutto un “senta la lasagnina” e “assaggi il vinellino”

Alla prima impressione sembra una fiera campionaria con tutti i suoi stand. Quelle fiere dove ti vendono l’aspirapolvere o c’è il tizio col microfono alla Ambra che fa le prove del pelapatate. Del resto a FICO più che osservare come un maiale diventa prosciutto (a proposito il macello non si vede, e non si vedono nemmeno i macellai con i grembiuli chiazzati di sangue), il prosciutto si vende a quintali


Continua sul sito de Il Fatto Quotidiano

venerdì 20 ottobre 2017

27 ottobre a Milano - presidio contro il convegno COOP

COOP, “Alleviamo la salute” (ovvero: “come uccidere più animali senza riempirli di antibiotici”...): noi non ci stiamo!

“Più salute per gli animali, più salute per gli esseri umani”. È questo lo slogan del convegno che si terrà venerdì 27 ottobre (ore 16) alla Facoltà di Veterinaria di Milano. L’evento è organizzato da COOP Italia per la sua campagna “Alleviamo la salute”, e prevede la partecipazione del Ministro dell’Agricoltura, dell’assessore alle Politiche Sociali di Milano, dell’assessore all’Agricoltura della Regione, dei vertici COOP, di esperti universitari e di un’organizzazione “animalista”, Animal Equality Italia.

Il tema del convegno è l’antibiotico-resistenza, e lo slogan la dice lunga su quanto l’interesse per il benessere animale sbandierato da COOP Italia sia funzionale semplicemente alla commercializzazione di carni più affidabili per il consumatore, più “sane” e, in ultima analisi, più facili da vendere. Il segreto di Pulcinella che si cela dietro a questa facciata di attenzione alle condizioni degli animali, è che gli animali vengono come sempre segregati, ipernutriti e macellati. Il fine è sempre lo stesso: approfittare della sproporzione di forze in campo per fare quello che si desidera con i loro corpi, fino a farli letteralmente a pezzi da impacchettare. Perché? Altro segreto di Pulcinella: per fare soldi.

Siccome, però, i consumatori sono inquieti (un po’ perché ormai sanno che gli animali non umani soffrono come noi, un po’ perché sanno bene che la carne e il latte che trovano nei supermercati non sono propriamente “genuine”), i big del settore e le istituzioni cercano di rassicurarle. Nessuna novità, tutto sommato.

La novità è che, in questo caso, hanno cercato il sostegno di un’organizzazione “animalista”. Un’associazione che fa investigazioni con cui si denunciano le tragiche condizioni degli animali negli allevamenti intensivi, per intenderci. Il messaggio è chiaro: COOP, ministero e politicanti vari hanno a cuore i consumatori e persino il “benessere” degli animali, tanto da avere l’appoggio degli animalisti. La “carne felice”, un ossimoro vergognoso, avrebbe avuto anche il patentino di coloro che dovrebbero stare dalla parte degli animali. La presenza dell'associazione animalista, annunciata in un primo momento, è stata poi eliminata.

In ogni caso, agli animali non basta un po’ di benessere.
Provate a pensarci.


Fin dalla nascita siete programmati per diventare carne. Venite separati dai genitori prestissimo e nutriti artificialmente. Non vedrete mai la luce del sole o, se siete “fortunati”, ogni tanto vi faranno andare al pascolo o a razzolare in un capannone. Se siete polli o conigli, probabilmente starete stipati in una gabbia minuscola con vostri simili e impazzirete in breve tempo, fino a procurarvi lesioni ovunque. Se siete mucche, verrete ingravidate e spremute senza sosta. Se proverete a scappare, vi “abbatteranno”, come dicono loro per non dire che vi spareranno in mezzo alla strada. Avreste potuto vivere 20 anni, ma dopo qualche mese, dopo uno o due anni al massimo, vi spingeranno a forza su un camion, e poi giù verso uno strano posto in cui risuonano le grida disperate dei vostri compagni e l’aria odora di sangue rappreso. E poi vi uccideranno (“macellazione umanitaria”, la chiamano nei paesi ricchi: un colpo in testa). Poi vi faranno a pezzi per vendervi. Ma attenzione: nel bel mezzo di questa vita-non-vita, arrivano gli esperti del ministero che diranno che, per il vostro bene, non bisogna darvi troppi antibiotici. Fanno male a voi e a chi vi comprerà al supermercato. Probabilmente, non vi scandalizzerete neppure: alle prese per il culo sarete ormai abituati.

Tutti gli animali, umani e non, hanno bisogno di libertà, di una vita libera da schiavitù.
Noi stiamo dalla loro parte.

Antispecist* contro la “carne felice”

L'evento aderisce alla Settimana per l'Azione Antispecista

martedì 29 agosto 2017

Divenire bistecca ai tempi della sharing economy



Divenire bistecca ai tempi della sharing economy
di Elisa Valenti

 
La Mucca DE0696 di Salem, Germania, è “virtualmente” quasi morta. La famiglia Zigler ha piazzato DE0696 su una piattaforma online di crowd-butchering – letteralmente macellazione collettiva, di massa – e DE0696 verrà sventrata non appena tutte le sue parti saranno state vendute. Ad oggi DE0696 è morta al 70%.
Questa macellazione “su prenotazione” è l’ennesima nuova frontiera per ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti. Poiché la carne inquina e non deve essere sprecata, DE0696 sarà macellata soltanto quando tutto il suo corpo sarà stato venduto. Fino ad allora vivrà felice nei prati della Germania meridionale. 

giovedì 10 agosto 2017

La calda estate della mucca Brangus





Food and Wine ha pubblicato recentemente un articolo sull’ennesimo tentativo di creare “la mucca del futuro”. Dopo le mucche nane a bassa emissione di CO2 e le mucche utilizzate come fonte di biocarburante, l’esercito di mucche ecofriendly si arricchisce di un nuovo componente: le mucche resistenti al calore.

Gli scienziati stanno studiando come modificare opportunamente le sequenze del DNA di questi animali affinché siano in grado di adattarsi più facilmente agli stress climatici. Pare che, invece, gli scienziati non si siano ancora interrogati su come risolvere lo stress delle gravidanze forzate, dell’allontanamento dai propri cuccioli e, infine, del mattatoio.

venerdì 23 dicembre 2016

L'eredità di Expo: sostenibilità, nuovi mercati, benessere animale




L'eredità di Expo: sostenibilità, nuovi mercati, benessere animale

Forse incantati dal bellissimo slogan “Nutrire il pianeta”, forse storditi dalla partecipazione di Vandana Shiva al padiglione del bio, forse addomesticati dall’ondata bio-vegan seguente ci siamo un attimo scordati di EXPO 2015 e soprattutto ci siamo dimenticati di considerare e analizzare la sua eredità.
Lo spezzone antispecista, caduto nel dimenticatoio con tutta la contestazione “no expo”, dov’è finito?
Ma, soprattutto, quanti di noi si sono accorti che da EXPO in poi gli attacchi all’industria alimentare sono stati lasciati andare solo in alcune direzioni?
Quanti sono andati avanti senza soffermarsi troppo sulla parola “intensivo”?
Il sorgere di numerose attività e associazioni di categoria includenti le parole “etico”, “sostenibile”, “verde”, “slow”, “felice” ha fatto gioire pazzamente numerosi individui.
L’idea di non dover rinunciare a nessun agio perché così si può non essere più complici di aziende che rovinano il pianeta e chi ci vive, ci ha inebriato di speranza, in vista di un reale cambiamento, che comprende anche un cambio di direzione per quel che riguarda il rispetto per l’animale non umano.
Il che sarebbe ipoteticamente vero, forse, se fossero sorte nuove aziende, cooperative, artigiani “etici-per-davvero” che quindi che non contribuiscono a nessuna forma di sfruttamento e si fosse tornati ad una produzione (vegetale) estensiva, minima, sostenibile per davvero.

mercoledì 12 ottobre 2016

Contestatori o supporter dello sfruttamento "etico"?


Contestatori o supporter dello sfruttamento "etico"?




Ci chiediamo per l'ennesima volta come sia possibile che degli animalisti (o presunti tali) possano aver partecipato ad una iniziativa promossa a quattro mani dalla Facoltà di Veterinaria di Milano (precisamente un Dipartimento di produzione animale!) e Minding Animals (associazione internazionale che si occupa di Animal Studies) nella speranza di influenzare positivamente i futuri addetti alla detenzione, proliferazione, crescita e morte degli animali "da reddito" (qui il link del programma del corso).

Se anche possiamo essere d'accordo che un allevamento biologico sia meglio di uno intensivo, ci chiediamo se sia questo ciò che speriamo e vogliamo per gli animali. Sono forse le "fattorie felici" che scardineranno il paradigma antropocentrico? È attraverso questa nuova modalità (peraltro assolutamente impossibile da sviluppare per il largo consumo) che vogliamo indicare una direzione? Pensiamo sia possibile che studenti di veterinaria (interessati ad approfondire proprio questo tema) cambino mestiere perché ascoltano qualcuno che gli dice che gli animali non devono essere uccisi? Possiamo renderci complici di questo sofisticato modo (il bio, la sostenibilità, il benessere animale) di acquietare le coscienze di consumatori e addetti ai lavori? Come possiamo collaborare con gli "addetti ai lavori"? Pensiamo che allevatori e veterinari siano così ingenui da non essersi mai incrociati con un pensiero altro e che aspettino le nostre conferenzine per andare in crisi?

venerdì 9 settembre 2016

Animalisti che organizzano visite agli allevamenti (“etici”…): succede davvero!




Vi abbiamo informato, lo scorso anno, di un’iniziativa dal carattere e dalle finalità a nostro avviso piuttosto dubbie, la Summer School “La Vita Condivisa”, pubblicando una nostra lettera aperta ai relatori/organizzatori legati all’ambiente animalista e antispecista. In questo testo, chiedevamo in sostanza come fosse possibile partecipare a un evento insieme a realtà come Compassion in World Farming, un evento organizzato da un’associazione “animalista” (Minding Animals) insieme al Dipartimento di Scienze Veterinarie per la Salute, la Produzione Animale e la Sicurezza Alimentare, una struttura il cui nome non necessita di ulteriori commenti. E come fosse possibile legittimare un momento formativo con interventi intitolati, per esempio, “La sostenibilità nella produzione della carne”, “Farms not factories”, “Prospettive dell’Unione Europea per una filiera della carne innovativa, rispettosa di animali e ambiente”, “Del mangiar carne, latte, uova o la protezione animale in allevamento”, “Etichettatura dell’animal welfare”. Senza contare il patrocinio, evidenziato come un punto d’onore, di Expo 2015. Insomma, abbiamo chiesto come fosse possibile prestarsi a una legittimazione di realtà che lavorano attivamente per propagandare lo sfruttamento “sostenibile” degli animali negli allevamenti e nei mattatoi.

Dalle persone interpellate abbiamo ottenuto una sola risposta, quella di Enrico Giannetto, che ringraziamo per l’attenzione che ci ha riservato, anche se non ne condividiamo – come non ne condividevamo allora – le posizioni (la nostra replica è reperibile allo stesso link). Dagli altri relatori, il silenzio; dagli organizzatori “animalisti”, altrettanto. In sintesi, Enrico Giannetto esprimeva la necessità di “sporcarsi le mani” per “contaminare” le visioni dei giovani veterinari che, prevedibilmente, avrebbero composto la maggioranza dei partecipanti. Se questa logica al ribasso non ci convinceva, ci convince ancora meno ora che è stato pubblicato il programma della seconda edizione, che si svolgerà a Milano dal 12 al 17 settembre 2016. Gli interventi programmati prevedono un aumento notevole di specialisti del “benessere animale”, dell’etichettatura della carne, della zootecnia “di qualità”, e un peso maggiore delle realtà che lavorano sulla promozione dell’allevamento sostenibile, con la conferma di Compassion in World Farming e l’ingresso nientemeno che di “Allevamento Etico”, di cui abbiamo anche avuto già modo di parlare (si veda qui). Insomma, “sporcarsi le mani” per convincere i veterinari sembra avere ottenuto l’effetto opposto: sono gli specialisti del settore zootecnico ad avere spostato gli animalisti verso le loro posizioni.

Tanto vicini alle idee dello sfruttamento dolce, che durante questa edizione della Summer School è previsto qualcosa di decisamente intollerabile: la visita a un “allevamento etico”. Guardare il programma per credere.

A questo punto è doveroso precisare che l’unico relatore che ci ha risposto quest’anno non partecipa. Gli altri, però, sono ancora attivamente coinvolti: se l’anno scorso non hanno saputo produrre motivazioni valide, ci chiediamo come possa essere giustificabile questa volta il fatto di farsi strumentalizzare volontariamente in modo così smaccato da parte di chi trae profitto dai corpi animali.

BioViolenza