"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

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giovedì 24 maggio 2018

Quando l’orrore è solo una questione di forma





Commento al video realizzato da Free John Doe, mandato in onda il 20/5/2018 da Le Iene.

Link al servizio televisivo: facebook.com/SeiVeganoSe/videos/2001078316873949/ (fino al 22/5/2018 era sulla pagina de Le Iene, ma è stato rimosso).

Le immagini mostrano la brutalità quotidiana del luogo in cui ci troviamo; le inquadrature riprendono occhi, tremori, tumefazioni, deiezioni, agonie ignorate. L’audio capta urla stridenti, che coprono i respiri affannosi di chi sta morendo in solitudine.
La voce fuori campo elenca una serie di dati e numeri: antibiotici somministrati preventivamente, per evitare epidemie; topi - quegli untori! -, che, andando a nutrirsi nei capannoni industriali, sono additati come portatori di malattie trasmissibili ANCHE all’Uomo, nel momento stesso in cui  ingerirà quei corpi macellati.

L’intervistatrice parla (con esperti, impiegati nell’allevamento, NAS, ecc.) del buco dell’ozono, sporcizia, “benessere animale”, alimentazione … Nessuna parola, non una, proprio nessuna, viene spesa sul sistema istituzionalizzato di sterminio che tutt* stanno vedendo, in quello stesso preciso istante, con i loro occhi.
Finché si continuerà a parlare dei benefici che l’umano potrebbe ottenere grazie alla diminuzione del consumo alimentare di “carne”, finché continueremo a trattare gli altri animali come “comparse” anziché come  “protagonisti” della lotta di liberazione animale, continueremo anche a diffondere la favola della “carne felice”, un discorso vecchio e già “industrializzato” da Farinetti & Co. (leggi, p. es., bioviolenza.blogspot.it/2017/10/27-ottobre-milano-presidio-contro-il.html).

Il sistema ci ha addomesticat* al dolore altrui, tanto da renderci incapaci di schierarci dalla parte di chi è sfruttato, maltrattato, ucciso, e di ripetere invece le parole d’ordine del dominatore, che ha fatto della morte altrui un business!
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, TU! FUORI! Uno, due, tre, …” Ogni nove il decimo muore.
I nazisti usavano questo metodo per eliminare i corpi animalizzati. Anche lì, quello era solo il decimo: “Shit!” (“Merda!”). 
Nel commento a questo video, il messaggio che passa non sono certo le ragioni a favore dell’autodeterminazione di ogni individuo. Ciò che passa è solo che uno su dieci muore, così, senza una ragione, solo perché è l’anello più debole della catena. Come la bambina palestinese di 8 mesi morta perché nata dalla parte sbagliata di un muro, di una linea di confine.

sabato 23 gennaio 2016

Umano bio...

Iniziativa choc: umani nel cellophane come in macelleria

Pordenone: bambolotti a pezzi e una ragazza in “carne e ossa” esposti in vetrina in occasione della “Settimana per l’abolizione della carne

Fonte: Messaggero Veneto

mercoledì 22 aprile 2015

Evviva la diversità! Expo e le bestie

Come utilizzare la retorica del multiculturalismo, delle differenti culture, dell'incontro fra usi e costumi diversi per rinforzare la visione antropocentrica per cui gli animali, in definitiva, sono cibo a disposizione del nostro palato. Un palato magari in cerca di prelibatezze esotiche.

Come annuncia Repubblica.it in un articolo pubblicato sul sito, durante i 6 mesi di Expo, a Milano, si troveranno "coccodrillo, pesce palla, vino di serpente e maialetto sardo". Anche le blande limitazioni che riguardano le specie protette, in parte cadono, insieme alle norme ordinarie sulla sicurezza nei cantieri, sulle infiltrazioni mafiose, sui diritti dei lavoratori/trici; insomma, insieme a tutto quello che intralcia un evento così straordinario da necessitare di regole straordinarie.

mercoledì 4 marzo 2015

"Bisogna sparare con tenerezza"...

"Bisogna sparare con tenerezza".
Arcicaccia utilizza questa frase, che si commenta da sè, per inaugurare gli Stati Generali della caccia.

E poi: "Siamo sentinelle della natura". Sentinelle armate, naturalmente.

Non stiamo scherzando, purtroppo:
qui la notizia...


martedì 8 ottobre 2013

A.A.A. cercasi nuovo ossimoro: "l'onnivoro etico"

L'industria della carne e dello sfruttamento animale è costantemente alla ricerca di nuove astuzie verbali per abbellire le mura esterne dei mattatoi.

E così, accanto alla più meno sottile denigrazione di chi ha scelto di non uccidere gli animali per mangiarli (vegefobia), spuntano come funghi le espressioni più curiose e - inconsapevolmente? - contraddittorie. "Macellazione compassionevole", "benessere animale", "allevamenti sostenibili"...

La più recente è stata introdotta in un articolo di Vanity Fair che cerca di magnificare il piacere di mangiare bistecche e, a quanto pare, anche quello di disprezzare i vegetariani (senza lesinare sullo spazio riservato a pubblicizzarei  macellai).
Si tratta di una nuova figura di consumatore alimentare: l'"Onnivoro etico".

Che cosa sono gli "Onnivori etici" (con la "o" maiuscola)?

Secondo l'articolo, sono "coloro mangiano carne in modo moderato, ma soprattutto 'giusto'. Benessere animale, rispetto delle risorse naturali, una dieta sana e varia, scelta del prodotto a Km Zero a 360°".

Le parole sono importanti.
Gli animali, invece, sembra proprio di no.

lunedì 29 luglio 2013

CIWF: ma quale compassion, questi sono pubblicitari!


CIWF: MA QUALE COMPASSION, QUESTI SONO PUBBLICITARI!
 


Nella newsletter del 25 luglio 2013, CIWF esulta nel dare notizie relative a presunti miglioramenti delle condizioni disastrose in cui vengono normalmente allevati gli animali destinati a diventare cibo.
In effetti la notizia n. 1 si riferisce alla sospensione in Olanda del debecaggio per galline e tacchini e del taglio della coda per i maiali. Bene. La notizia n. 3 riporta il divieto della macellazione rituale in Polonia. Bene. Buone notizie, per carità, anche se al limite del simbolico, considerando l'enormità incontrastabile delle sofferenze che sono obbligati a patire gli animali, a causa delle inemendabili pratiche legate all'allevamento ( come dire : meglio 99 bastonate anziché 100! ).

Ma è nella notizia n.2 che si annida la beffa, ovvero: l'etichettatura  dei "prodotti" ittici. Sì, avete letto bene: "prodotti". Se visitate il sito di CIWF avrete idea di cosa si cela dietro questa notizia che compare, lemme lemme, a farcitura delle due precedenti:  una bella campagna di etichettatura in cui gli animali vengono definiti e, quindi, considerati "prodotti". Il linguaggio non mente. Ma quale sarebbe lo scopo di questa ennesima campagna sul benessere animale?  In facciata si vagheggia sempre  di welfare , dietro si distribuiscono riconoscimenti vari ai produttori più attenti alla nuova sensibilità, per  abbindolare una gran fetta di pubblico, ormai attanagliata dai più che giustificabili sensi di colpa.

E' evidente che CIWF non svolga alcuna attività per giungere alla soluzione definitiva delle problematiche relative al trattamento iniquo degli animali, ma ci giri solo intorno, cercando di trarne profitto, sdoganando la questione animale come fosse una moda, se non passeggera almeno controllabile, per le anime sensibili dei più attenti consumatori.  Poiché il movimento di liberazione animale lavora e si accresce in maniera esponenziale, coloro che vivono dello sfruttamento animale sono in allarme e pensano di tamponare l'emorragia imminente fingendo interesse ad alleggerire le sofferenze delle loro stesse vittime.  Ed ecco apparire CIWF a premiarli. 

Ma la trasformazione dell'orrore delle pratiche oppressive in qualcosa di bello, pulito e buono è roba per dissociati mentali. Nulla più.

Noi di Bioviolenza crediamo che un approccio welfaristico potrebbe avere qualche senso, anche se molto limitato, solo nella prospettiva abolizionista delle pratiche di dominio, altrimenti si tratta solo di ingannevoli approssimazioni al movimento animalista con scopi ad esso contrari.
Invitiamo quindi CIWF a non divulgare notizie ed organizzare campagne pubblicitarie come se
appartenessero al mondo animalista, entro il quale gli elementi estranei non saranno più facilmente metabolizzati. 

BIOVIOLENZA

www.bioviolenza.blogspot.it



giovedì 7 marzo 2013

Scandali alimentari e idea di uguaglianza



SCANDALI ALIMENTARI E IDEA DI UGUAGLIANZA
di Camilla Lattanzi

In Germania è in corso l'ennesimo scandalo per le uova contrassegnate con lo ZERO che dovrebbe significare bio-free range (allevate a terra)  e che invece provenivano da galline allevate in gabbia.
Qui l'articolo e l'orribile video che mostra la condizione in cui venivano (o sarebbe meglio dire vengono regolarmente)  tenute le galline "biologiche":
http://www.peta.de/web/eierrecherche2012.6700.html

Contemporaneamente in Sudafrica è stata smascherata un'altra, analoga frode alimentare: carni di asino, bufalo indiano o montone utilizzate al posto di quelle bovine, ma anche suine o avicole, per confezionare prodotti venduti regolarmente nei supermercati, senza però che i reali ingredienti fossero dichiarati sulle etichette.  E in tutto il mondo Ikea, Nestlé e Kraft ritirano dal mercato tonnellate di formaggi cioccolate e torte in quanto contaminate da batteri fecali.
Naturalmente l'accento viene messo sulla “frode ai danni del consumatore” perché l'ottica è graniticamente antropocentrica: il ricco consumatore esigente tiene alla sua salute e chiede che gli alimenti siano biologici. E’ disposto a spendere di più per mangiare meglio di altri consumatori meno danarosi e meno consapevoli. Paga dunque pretende, perché è la sua salute a essere messa a repentaglio.

Sulle condizioni degli animali schiavizzati e uccisi l'enfasi è assai minore e così, mentre sono tanti i consumatori a sbraitare che ci vogliono più controlli nel biologico, sono pochi gli esseri davvero "umani" che si curano della sofferenza e della morte ingiustamente inflitte ad altri viventi senzienti.
Ancora una volta pare evidente che non può esistere un uso "incolpevole" dei prodotti animali, e che l'alimentazione vegetariana da un lato e onnivora-biologica dall'altro sono foglie di fico sempre più strette, sia perché sono d'elite, sia perché sono vittime anch'esse di continue operazioni di contraffazione. Questo se vogliamo guardare al problema solo dal punto di vista salutistico.
Dal punto di vista etico poi, il discorso non sta proprio in piedi: quale fine si pensa che facciano quelle galline lì quando la produzione di uova, con l'aumentare dell'età delle galline-schiave, inevitabilmente cala?
Finiscono nei piatti dei nostri amici onnivori e ghiottoni, nelle salsicce Wudì e nei sughi AIA quando le cose vanno come ci si aspetta, in qualche produzione a marchio BIO quando invece non vanno per il verso giusto, mescolate magari alla carne di cavallo di bufalo di asino o montone del precedente scandalo, e sarebbe così anche se fossero davvero allevate con il garbo che l'ingenuo consumatore seguace del biologico si aspetta.
Chiedersi se sia accettabile che il ciclo di vita di creature viventi venga abbreviato a un decimo per questioni di profitto e ghiottoneria, però, non viene in mente nemmeno ai garbati vegetariani o agli onnivori seguaci del bio, che su questo tema somigliano in tutto ai loro "opposti", onnivori e habitué dell'agrochimico.

Morale: noi consumatori critici, che ci sentiamo esenti dagli effetti degli scandali grazie alla frequentazione di mercati contadini e Gruppi d’acquisto solidale, non possiamo più ignorare che ormai anche l'alimentazione è diventata una questione "di classe".
Ai poveri non resta che ingozzarsi di animali sofferenti e malati, o pesticidi chimici velenosi, con buona pace delle coscienze di chi ha il potere d'acquisto e il capitale culturale che gli consente di fare scelte un po' meno rischiose, purché disposti a pagarle a caro prezzo.
Nel mondo sempre più autoreferenziale e individualista del "consumo critico", il discorso prevalente è oggi quello di una decrescita orientata all'autoproduzione. Minore è l'enfasi per inventarsi lotte e campagne per la chiusura di allevamenti e macelli e la completa proibizione dei pesticidi. La dimensione politica del cambiamento è sempre più scolorita, e pressoché assente è l'attenzione alla sorte inflitta agli animali non umani, vittime predestinate e predilette di un sistema produttivo che andrebbe messo in discussione nel suo insieme, indagando sulla sua logica di violenza e sopraffazione. 
La mutazione genetica da cittadino a consumatore ha contagiato anche il mondo del consumo critico, per cui isolarsi in un Eden di salute e benessere individuale viene preferito a praticare una politica attiva verso le istituzioni e le imprese per affermare il diritto alla salute collettiva . Ma solo una battaglia simile potrà davvero restituirci un piano di uguaglianza dei cittadini almeno nel momento in cui si alimentano, momento centrale per il benessere e la salute, dove le differenze di classe sortiscono gli effetti più devastanti. E in questa sede di azione collettiva potrebbe aprirsi finalmente una finestra sull'alimentazione "cruelty free", finora snobbata nell'ambito dei Gruppi d’acquisto solidale (Gas) e dei "consumatori consapevoli", forse per eccesso di prudenza o forse perché è mancata la volontà di affrontare un serio approfondimento.

E’ a dir poco ironico l’esito dell'ultimo scandalo verificatosi in Islanda: un lancio di agenzia del 1mo Marzo ci racconta che le autorità alimentari islandesi - alla ricerca di carne di cavallo "clandestina" - hanno esaminato dei "tortini di carne" senza trovarvi alcuna traccia animale: "non contenevano dna mammifero", ha spiegato l'ispettore alimentare Kjartan Hreinsson, aggiungendo che i prodotti sembrano essere stati riempiti di “prodotti vegetali”. Le autorità della capitale islandese stanno indagando. "È una cosa piuttosto bizzarra", ha ironizzato Hreinsson.  
E chissà che la “frode” islandese non abbia preservato la salute di questi appassionati consumatori di “tortini di carne”, ritrovatisi “vegetariani a loro insaputa”.
Adesso la domanda è: cosa sceglierà di fare il “consumo critico e consapevole” che si trova di fronte all’evidente gerarchia classista tra consumatori mai così evidentemente collegata alle conseguenze di un modello di dominio e potere tra viventi?

lunedì 30 maggio 2011

GEAPRESS:Primo resoconto della contestazione a Slow Fish 2011

alcuni attivisti simulano la morte dei pesci per soffocamento e schiacciamento nella rete

Slow fish – la manifestazione … contro

GEAPRESS – Imprigionati nelle reti da pesca, senza possibilità di scampo in una lunga agonia, così gli attivisti del Progetto “BioViolenza” hanno rappresentato davanti agli ingressi della Fiera di Genova, dove si tiene la kermesse Slow Fish, la loro denuncia verso le crudeltà inflitte agli abitanti dei mari....
....Un centinaio di animalisti e antispecisti provenienti anche da Milano, Brescia, Pisa, e Piemonte hanno così contestato quella che vuole essere l’evento dedicato alla pesca “sostenibile” legata all’organizzazione di Slow Food e sostenuta dalla regione Liguria. segue>>



i veri protagionisti della kermesse...morti!Genova: slow fish o slow death?


Kermesse sulla pesca "sostenibile": Carlo Petrini apre agli animalisti, ma negli stand solito macabro campionario.


GEAPRESS – Aperta oggi la quinta edizione di Slow Fish presso la Fiera di Genova, fino a lunedì 30 la manifestazione voluta da Slow Food ed enti locali liguri per promuovere la pesca non industriale ma legata alle tradizioni locali.

Gli animalisti di BioViolenza vogliono però mettere sotto i riflettori la sofferenza silenziosa degli abitanti dei mari, milioni di pesci, crostacei e molluschi vittime anche delle pesche tradizionali, oltretutto anche loro complici del depauperamento dei mari ormai accertato anche dagli organismi internazionali indipendenti. segue>>

(fonte GEAPRESS )

sabato 28 maggio 2011

Cruelty free web radio: Genova, domani presidio contro SlowFish


Slow Food è un'associazione no-profit che attualmente conta circa 100 000 iscritti con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno Unito e aderenti in 130 paesi.

Nasce dalla voglia di promuovere stili di vita lontani dai modelli consumistici che ci vengono normalmente propinati; la sua filosofia è promuovere un'alimentazione sana, rispettando i ritmi delle stagioni, salvaguardando le tradizioni enogastronomiche locali, imparando a riconoscere e a dare importanza ai luoghi di produzione dei cibi che mangiamo, difendendo le specie autoctone e in via di estinzione.....Nasce, dunque, la fiera SlowFish che mira a tutelare le risorse marine e a salvaguardare appunto un mestiere che da queste risorse dipende.Dunque, ricapitolando pesca gusto, divertimento e reddito.

Ma chi sono i protagonisti assoluti (loro malgrado) di questa fiera? Gli chef? I pescatori? I visitatori?

No! I protagonisti inconsapevoli sono i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, laghi e fiumi, i più dimenticati, i più ignorati e i più indifferenti tra gli animali, spesso non considerati anche da coloro che si definiscono animalisti.

Messi in palio o ceduti in premio in occasione di pesche, lotterie, tiri a segno, maltrattati nei negozi di animali, nei ristoranti o nelle pescherie, i pesci, come molti altri animali, sono considerati oggetti inanimati di cui l'uomo può disporre a proprio piacimento. Per rendersi conto di quanto questi esseri subiscano nel quotidiano continui maltrattamenti, basta munirsi di un regolamento comunale per la tutela degli animali ove previsto o della legge 189/2004 per rendersi conto che la maggior parte dei negozi che vendono pesci, li detengono senza rispettare le loro caratteristiche etologiche, le dimensioni degli acquari e i sistemi di depurazione, oppure è sufficiente entrare in un ristorante per accorgersi che i crostacei hanno le chele permanentemente legate o ancora possiamo notare che la maggior parte delle pescherie li adagiano sul ghiaccio vivi ovviamente e per di più con le chele legate. segue>>

martedì 10 maggio 2011

"Liberazione": Slow Fish a Genova, pronta la contestazione

articolo su liberazione per mobilitazione a genova
di Alessandra Galbiati

Saranno in tanti, domenica 29 maggio a Genova, a contestare Slow Fish. Un’iniziativa che si preannuncia all’insegna della “sostenibilità” e delle antiche arti della pesca. L’evento è patrocinato da Comune, Provincia e Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed è direttamente connesso a Slow Food.
Ci si può legittimamente domandare come mai gli animalisti si mobilitino contro una manifestazione che per molti versi promuove un cambiamento degli stili di vita più consumistici: un’alimentazione più sana, il rispetto degli equilibri dei mari, delle acque e della biodiversità, la difesa di categorie di lavoratori in pericolo di estinguersi (i pescatori), il ritorno ad antiche tradizioni culinarie e marinare, la difesa di specie autoctone o in via di estinzione.
Tra gli animali, i pesci e tutti gli altri abitanti dei mari, dei fiumi e dei laghi sono in assoluto i più ignorati. Non che la sofferenza degli altri animali da reddito importi molto, ma sicuramente è più facile pensare di poter uccidere e sventrare un pesce che non un maiale o un coniglio. Non trattandosi di mammiferi, non riuscendo minimamente a rapportarci a loro e conoscendoli quasi esclusivamente sotto forma di cibo, la loro vita ci è totalmente estranea. La sofferenza dei pesci è invisibile, inudibile e quindi, per molti, inesistente. L’agonia per asfissia dei pesci può essere lunghissima (fino a decine di ore), ma chiunque si sia fermato qualche minuto a osservare un placido e bonario pescatore sulla riva del fiume, sa che i salti e il boccheggiare di questi animali nel cestello appoggiato sull’erba non smuovono minimamente la compassione e l’empatia della persona in questione. Se si domanda qualcosa riguardo alla morte lentissima e crudelissima cui questo particolare tipo di cacciatore ha condannato le sue vittime, ci si sente rispondere in maniera fantasiosa: «Ma sono pesci, non sentono niente», «è lui che ha abboccato all’amo, mica io che l’ho rincorso», «se non lo pescavo io se lo mangiava comunque un pesce più grande».
Queste risposte, senza stare ad analizzarle, danno prova dell’umana arroganza rispetto agli altri animali e di quanto molti siano indifferenti verso gli animali considerati a loro volta inferiori tra gli inferiori. Un bravo pescatore libererà dalle reti del peschereccio il delfino o la tartaruga marina rimasta impigliata (sempre che siano ancora vivi). Non pescherà i tonni piccoli e le altre specie in via di estinzione. Metterà in atto tutti quegli atteggiamenti e accorgimenti di “rispetto” per preservare il mare da ulteriori devastazioni. Ma il fatto che questa attività implichi l’uccisione di altre vite non viene mai messo in discussione. E qui non stiamo parlando di un surfista che uccide un pescecane che lo sta attaccando o di popolazioni che se non mangiassero pesce morirebbero di fame. Stiamo parlando di cibo di lusso, da mangiare “poco ma buono”, servito da famosi chef nei ristori di Slow Fish con menù da 40 euro.
Tutta questa etica esibita sulle nuove bandiere della eco-compatibilità, della sostenibilità, del biologico, non prende mai in considerazione la sofferenza degli altri. Si deve prestare la massima attenzione soltanto a noi, al nostro benessere, al nostro paesaggio (terrestre o marino fa poca differenza), per preservarlo per i nostri figli e nipoti. Il nostro impegno si ferma qui, la nostra etica, purtroppo, anche.
Che i veri abitanti dei mari vengano sventrati a miliardi ogni anno (nessuno ha una stima neppure precisa del numero di pesci e crostacei uccisi nel mondo), che siano esattamente loro il vero “paesaggio” che si dovrebbe proteggere, che si possa cominciare a pensare ad una decrescita della violenza (oltre che dei consumi), sono pensieri ignoti ai teorici della sostenibilità. Al massimo si riesce a strappare qualche frase (e qualche regolamento) contro le forme più gravi di maltrattamento animale, ma questo solo per gli animali allevati, non certo per la sardina o il polpo sul tavolo della pescheria.
Già nei bambini, l’empatia nei confronti dei pesci è scoraggiata. Pesciolini rossi vengono regalati come fossero cioccolatini a feste e fiere. Pesciolini combattenti vengono tenuti in bicchieri da tavola e gli acquari o - peggio ancora - le bocce d’acqua, sono tra gli oggetti di “arredo” più diffusi nelle case italiane. Mentre quasi tutti i genitori inorridirebbero se il figlioletto imbracciasse un fucile e andasse a caccia di animali nel bosco, ben pochi si opporrebbero se il bimbo sedesse con una canna da pesca a cercare di uccidere pesci (spesso vengono anche organizzate gare di pesca per bambini e bambine).
I pesci occupano un posto particolare nell’immaginario. Da un lato ci fanno entrare, con la fantasia, in un mondo sconosciuto e affascinante, ma poi, quando si tratta di imprigionarli, ucciderli e mangiarli, allora tornano ad essere quelle cose di poco conto che a migliaia si espongono sulle bancarelle dei mercati. I pescherecci issano dal mare reti contenenti miliardi di animali che, nel migliore dei casi, muoiono schiacciati sotto il peso dei loro simili; nel peggiore, dopo ore di muta - ma non per questo meno reale - sofferenza.
La contestazione a Slow Fish è promossa dal neonato progetto “Bio-Violenza”: www.bioviolenza.blogspot.com. Il mercato, rispondendo alle istanze di maggiore consapevolezza del consumatore occidentale, da qualche anno ha iniziato a proporre prodotti più “etici” e in sintonia con la crescente sensibilità per i problemi ambientali. La carne “bio”, il latte e le uova “bio”, i formaggi “bio” sembrano formule magiche che fanno svanire per incanto (e perché il consumatore sensibile cerca proprio di acquietare i suoi sensi di colpa) le terribili condizioni di vita degli animali negli allevamenti. Cancellare - o illudersi di poterlo fare - la sofferenza brutale dell’allevamento industriale non significa per nulla, però, mettere in dubbio la violenza con cui condanniamo alla morte gli altri esseri viventi. Anzi, rincuorati dalle nostre presunte “buone intenzioni” diventiamo ancora più riluttanti a porci la domanda più importante: chi ci autorizza a uccidere senza necessità?

(fonte: www.liberazione.it)