"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

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sabato 23 gennaio 2016

Umano bio...

Iniziativa choc: umani nel cellophane come in macelleria

Pordenone: bambolotti a pezzi e una ragazza in “carne e ossa” esposti in vetrina in occasione della “Settimana per l’abolizione della carne

Fonte: Messaggero Veneto

martedì 12 maggio 2015

Bayernland (il latte viziato della grande distribuzione)


Bayernland (il latte viziato della grande distribuzione)
di Alessandra Galbiati




Bayernland spot 1

Interno. Sera. Casolare in campagna. Lui, il contadino, guarda dalla finestra.

Lui: Non sono ancora tornate...

Lei: Ma stavolta mi sentono!

Lui esce a cercarle mentre loro stanno in quel mentre rientrando

Lui: Eccole!!

Lei: Karen! Gilda! Eravamo preoccupati per voi!

Lui e lei si abbracciano mentre le due pezzate mangiano un po' di fieno



Mucca viziata? Bontà esagerata.


martedì 30 aprile 2013

Legambiente e il festival della ruralità: salvare gli animali o salvare... gli allevamenti?

Legambiente e il festival della ruralità: salvare gli animali o salvare... gli allevamenti?



morte bio
Immagine da: insolente0veggie.over-blog.com/

A volte, quando si partecipa a qualche manifestazione animalista, può capitare di imbattersi in una, due o tre (raramente di più) gialloverdi bandiere di Legambiente. Ci si guarda tra noi animalisti un po’ attoniti e perplessi perché si sa che Legambiente ha ben poco, per non dire nulla, a che vedere con la difesa della vita e della libertà degli animali.

Però, si pensa speranzosi, magari qualche iscritto porta con sé il simbolo di Legambiente per cercare di spingere la sua associazione a sbilanciarsi in favore degli animali. Però, a essere speranzosi, si pensa sempre male.

Legambiente c’è solo, e soltanto, laddove ci sono interessi umani da promuovere e proteggere o attività umane da contrastare perché dannose all’uomo o all’ambiente in cui vive. Legambiente può lottare contro la caccia probabilmente perché inquina il terreno e disturba la quiete del fungaiolo, così come protesta se un fiume viene inquinato perché poi non è più piacevole e sano andare a passeggiare lungo le sue rive.

Se però intere mandrie e greggi sono allevate e sfruttate in un paesaggio bello, gioioso, pulito e culturalmente ricco, allora tutto va bene. Che vuoi di più dalla vita?
Giusto per capire come le parole possano significare cose tanto diverse a seconda dei contesti, è utile ogni tanto scorrere il loro statuto e leggere che Legambiente “lotta contro ogni forma di sfruttamento, di ignoranza, di ingiustizia, di discriminazione e emarginazione” (ovviamente con assoluto ed esclusivo –implicito- riferimento al principale animale del pianeta). La stessa identica frase, letta in un contesto antispecista, avrebbe un senso completamente diverso.

In queste due scritture, uguali ma lontanissime, sta la differenza tra il tentativo di smontare l’antropocentrismo e invece cercare di rendere lo sfruttamento della natura (animali, mari, terra, fiumi, cielo) il più morbido possibile.

Il festival della ruralità, che Legambiente sostiene entusiasticamente, non è altro che la celebrazione dello sfruttamento soft, accettabile, ripulito degli animali. O possiamo sperare che i tour gastronomici siano rigorosamente vegetariani e che le pecore e le mucche stiano nel parco dell’Alta Murgia per poter trascorrere lietamente gli anni della loro vecchiaia?
Se la “parola d’ordine” degli animalisti è “salviamo gli animali”, quella di Legambiente (a cui dedicano una intera giornata del festival della ruralità) è “salviamo gli allevamenti”.

Ma perché mai ci dobbiamo incontrare nelle stesse manifestazioni?


BioViolenza
Al macello sani e felici
www.bioviolenza.blogspot.it
 

giovedì 17 gennaio 2013

Gruppo Ethos: una faccia tosta invidiabile

Gruppo Ethos: una faccia tosta invidiabile

Cosa non si dice pur di sembrare diversi! Vabbé, in periodi di crisi ognuno cerca di portare acqua al suo mulino, ma appropriarsi della parola ETHOS per imbrogliare le persone, le associazioni e i volontari del sociale ci sembra davvero grave.

Il gruppo Ethos, ormai proprietario di ben 4 mega ristoranti fintamente di lusso (Acqua e Farina, Grani & Braci, Risoamaro e Sanmauro – tutti con pizzeria e steak house), cavalca selvaggiamente la moda della qualità, sostenibilità, solidarietà cercando di farsi un’immagine di luogo trendy e attrattivo pubblicizzandosi su radio “impegnate” nel sociale (quali radio popolare e Lifegate) e indirizzando la sua pubblicità a quel generico pubblico “alternativo di sinistra” troppo spesso poco attento a non farsi infinocchiare dalle belle parole e propenso a farsi placare la coscienza dal primo venditore di fumo che incontra.

Da un gruppo dal nome così altisonante ci aspetteremmo davvero grandi cose che potrebbero spaziare dal reinvestimento degli utili in attività sociali alla attentissima selezione di cibi cruelty free, da cene gratis per gli homeless a sconti strabilianti per famiglie numerose o monoreddito, da servizi adatti alle più gravi forme di disabilità a forti garanzie sindacali per i dipendenti. Insomma, ci aspetteremmo qualcosa di... etico.

E invece?
La navigazione sul sito (a meno che non faccia parte della loro brillante etica la riservatezza  di tenere celate le vere buone azione a cui alludono) ci permette di leggere poche righe, molto generiche in cui il gruppo dice di impegnarsi con rispetto al cliente, lavoro di gruppo, applicano il sistema di autocontrollo HACCP (peraltro d’obbligo per legge), proponendo alcuni cibi biologici, utilizzando carta riciclata e lampadine a basso consumo. Per telefono ci hanno detto che non hanno pannelli solari (eppure son capannoni da 800 mq) ma che comprano detersivi e scatolame in confezioni grandi invece che piccole! Caspita, che etici!
Assumono forse persone diversamente abili? No, assumono persone obbligatoriamente gentili e disposte a fare orario di lavoro flessibile per soddisfare i clienti.
Utilizzano solo prodotti bio o a km 0? No, utilizzano maggiormente prodotti “di qualità” senza che sul sito compaia il marchio di nessuna certificazione particolare. Sarà lo chef che decide? Sarà il palato dei clienti? Sarà il prezzo del pasto? Boh. L’importante è dirlo ma che cosa poi sia davvero questa qualità, vallo a capire... Ma c’è Legambiente turismo che garantisce...

La trovata pubblicitaria per intortare per bene gli ingenuotti che appena sentono “etica” vanno in brodo di giuggiole, è che tutte le associazioni che decidono di festeggiare o organizzare cene sociali nei locali del gruppo, a fine anno vengono bonificati con una cifra pari al 10% di ciò che hanno speso nel locale. Praticamente la bellissima, strepitosa, fantastica, sostenibilissima iniziativa del gruppo consiste nel fare lo sconto dl 10% a chi presenta la “tessera ETHOS”. Figo, eh? Praticamente lo fanno ormai quasi tutti i negozi italiani.

Da animalisti, ovviamente, la cosa che ci sconcerta di più nel vedere accostata la parola ETHOS a questi locali è che ognuno dei 4 ristoranti è anche una steak house. Sul sito, bene in vista in molte foto, si possono ammirare pezzi di animali provenienti dai migliori allevamenti del mondo e delle razze più prestigiose “Black Angus” ,“Angus-Hereford”, Scottona “Pezzata Rossa” (questa a Km 0 perchè proveniente dalla bergamasca) e “Chianina”. 
Per compensare questo bagno di proteine ‘al sangue’,  si pubblicizzano laboratori per bambini per promuovere diete sane a base di frutta e ci si dichiara partner nel progetto “amici degli animali” (cani e gatti TV channel, sic).
Gli animali, come al solito ringraziano per essere presi per il culo in questa schifosa maniera.
Possiamo assicurare, da vegani, che quando siamo andati a mangiare una pizza ad Acqua e Farina, come dolce potevamo scegliere soltanto l’ananas (ma probabilmente il gruppo Ethos possiede una coltivazione di ananas bio e sostenibile da qualche parte tra Milano e Bergamo).

Vergogna.

Ma vuoi vedere che dopo questa protesta son capaci di inserire un menù vegan in ogni locale?


Progetto BioViolenza
Al mattatoio sani e felici


www.bioviolenza.blogspot.it

giovedì 6 dicembre 2012

Monza - 19 dicembre: "Carne felice: il delitto (quasi) perfetto?"

Monza, mercoledì 19 dicembre dalle ore 19.30 
c/o "La Pentola Vegana", via Lecco 18, Monza

cena e dibattito "la carne felice: il delitto (quasi) perfetto?" 
dibattito su allevamenti "sostenibili", biologici e "benessere animale" 
a cura di Oltre la Specie 

Disponibile per l'occasione piatto unico completo a 6 euro
GRADITA PRENOTAZIONE! 

Info e prenotazioni: 039-490403 348-2603861
Dettagli nella locandina


giovedì 11 ottobre 2012

Carne "felice"? Un'altra ipocrisia

Carne "felice"? Un'altra ipocrisia
di Francesco Pullia

Siamo circondati, sommersi, da mistificazione e malafede. Spesso e volentieri, ci si appiglia a costruzioni mentali pretestuosamente strumentali pur di non scalfire credenze che, se si sgretolassero, metterebbero in crisi le basi di un sistema al tempo stesso ideologico ed economico. Il rapporto con gli altri animali, con i non umani per intenderci, è la cartina di tornasole di questa condizione, perché rimanda ad un insieme di ordini sedimentato, stratificatosi nel corso del tempo. Un insieme fondato sullo sfruttamento, sulla violenza, sull’assoggettamento, sull’annientamento dell’altro. Siamo soliti, ad esempio, interrogarci su “cosa” mangiamo, mentre dovremmo farlo su “chi”, su quale essere, sottoposto ad allevamento, uccisione, sezionamento, è finito nel piatto.

Non solo l’altro viene privato della vita ma viene oggettivato, reificato. Occultiamo, tramite l’invisibilità, i luoghi da cui il vivente uscirà sotto forma di trancio, di parte sottratta a una totalità palpitante. Rendiamo difficile l’accesso ai lager in cui individui di specie diverse, ridotti a numeri e cartellini, vengono forzatamente nutriti e sottoposti ad abrasioni o menomazioni per produrre carne, latte, uova, paté, confezioni di pesce, capi d’abbigliamento.

Lo strazio consumato lontano dagli occhi e dalle orecchie, lo sprezzante esercizio di brutale dominio perpetrato, come nelle deportazioni in massa durante il nazismo o lo stalinismo, con la complicità, diretta o indiretta, volente o nolente, dei consumatori, non (si) concede pause.

Come se non bastasse, ecco la trovata di ammantare l’orrore, fornendo un alibi, infiocchettandolo. Ed ecco, allora, lo slow food, la “carne felice” o pseudo tale, scaturita cioè da un’operazione di imbellettamento il cui scopo è alleviare le coscienze dei consumatori. Come se al bovino o al suino allevato nelle fattorie “bio” non spetti, in fondo, identica fine del bovino o del suino che ha trascorso la propria esistenza nell’artificiosità dei grandi complessi industriali.
E’una sorta di etichettamento eufemistico, ha scritto Annamaria Manzoni, quello che “ci parla di mucche felici (di vedersi sottratto il vitellino appena nato, che viene allontanato urlante e disperato), che ci mostra maialini danzanti (per essere stati evirati, amputati, appena nati, di denti e coda), che definisce la caccia “buona” (perché stermina a pallettoni animali in sovrappiù per il gioioso piacere di uomini – e donne! – in assetto di guerra), di macellazione umanitaria (ma gli ossimori sono per definizione termini incompatibili tra di loro)”.

Un allevamento o un mattatoio “ottimali” sono, in realtà, un controsenso. Non possono esistere. E’ come se ci fossero stati campi di concentramento in cui gli internati venivano trattati “bene” per essere meglio inceneriti.

Come Guido Ceronetti, antiretore per eccellenza, ha constatato, “anche solo la vista di vagoni carichi di creature sofferenti dovrebbe lasciare qualche traccia (…). Chi sa questo e guarda anche solo per una volta gli occhi di un vitello dietro le sbarre, si sentirà – specie se ne è corresponsabile attraverso le sue abitudini alimentari - consciamente o inconsciamente colpevole, offeso nella sua umanità. Alla lunga, però, un comportamento che intuisce l’ingiustizia ma non fa nulla contro di essa rende malati e questa indifferenza nei confronti delle creature a noi affidate e della loro sofferenza è forse una malattia peggiore del morbo della mucca pazza, perché più diffusa”.

Non è ipocrita e mistificatorio, dunque, come è stato fatto recentemente sul Domenicale del Sole 24 Ore da parte di una “bioeticista”, utilizzare la foglia di fico del cosiddetto “benessere animale” per perorare meglio le “ragioni del mercato” (vale a dire dello sfruttamento)? E ancora: ha senso parlare di “biosicurezza” e “riduzione di lunghezza delle filiere” se, poi, la fine per l’animale è ugualmente segnata, l’esito è sempre tragicamente lo stesso?

mercoledì 10 ottobre 2012

Maurizio Pallante: La carne è INSOSTENIBILE

da Antispecismo.net
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Riportiamo qui sotto una ennesima presa di posizione contro il consumo di carni, di denuncia dell'impatto decisamente anti-ecologico della produzione di proteine animali, il tutto questa volta a firma codnivisa da uno tra i più stimati pensatori della Decrescita: Maurizio Pallante.
Ci permettiamo però di fare notare come tali denunce inciampino sul tentativo di attivare nei lettori una reazione empatica verso la sofferenza - resa evidente, ma implicita - che questi "comportamenti alimentari" ingenerano in altri umani (di incoraggiare dunque una nuova etica) completamente dimentichi del silenzio voluto e assecondato sulla sofferenza di chi, al di là di ogni considerazione e percentuale di calcolo, per questi "comportamenti alimentari" soffre davvero: gli animali.
Si punta dunque all'autocritica (rispetto a comportamenti che inducono sofferenza) selettiva, contando su una reazione di immedesimazione con altri che pagherebbero lo scotto dei nostri eccessi (o vizi), mentre al contempo si nega l'esistenza (che è sofferenza) stessa degli animali, citandoli di fatto solo come risorse primarie.
Un'etica della compassione selettiva di questo tipo, dove si auspica di porsi nei panni di alcune vittime indirette, mentre si nega l'insopportabile presenza di vittime dirette, la cui oggettiva sofferenza ormai è offuscata solo da una stupida, ottusa, imbrigliante, dogmatica ed ostinata cecità, non può pagare ed è oltre la favola: la iper-favola di chi vuole ancora credere che un'umanità estremamente nonviolenta, solidale e pacifica con se stessa, ma torturatrice e schivista verso chi semplicemente è ridotto in catene, possa davvero esistere.



L'insostenibile pesantezza della Carne

di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il consumo di proteine animali, nel mondo, cresce costantemente. Tanto che, secondo alcuni, questo fenomeno sta aiutando la specie umana ad andare più rapidamente verso la sua autodistruzione. A questo fenomeno, in effetti, sono legati i più gravi problemi ambientali, economici e politici del pianeta: le emissioni di gas climalteranti e l’effetto serra, leguerre per il controllo delle fonti energetiche fossili, la progressiva penuria di un bene indispensabile per la vita come l’acqua, molte forme di inquinamento chimico, la diminuzione di fertilità dei suoli, la perdita della biodiversità, le sempre maggiori sperequazioni tra il 20 per cento dell’umanità che si suicida per eccessivo consumo di cibi sempre meno sani e il 20% privo del necessario per sopravvivere.

Tutti questi problemi potrebbero essere ridotti drasticamente dalla diffusione di un regime alimentare vegetariano, o quanto meno da una significativa riduzione dei consumi di proteine animali. Possono sembrare affermazioni eccessive dettate da fanatismo ideologico, ma basta mettere insieme alcuni dati di pubblico dominio per comporre un quadro unitario che i singoli tasselli isolati non lasciano vedere in tutta la sua ricchezza.

La prima cosa da prendere in considerazione è la crescita dei consumi di proteine animali, in valori assoluti pro capite. Negli ultimi 50 anni in Italia il consumo di carne procapite si è triplicato. È stato calcolato che nel 1994 fosse di circa 85 chili all’anno, pari a 235 grammi al giorno. La tabella seguente documenta quanto è avvenuto nelle principali aree del mondo negli ultimi 40 anni. La tabella successiva mette a confronto i dati del consumo mondiale di carne e di latte nel 1997 con gli incrementi previsti dalla Fao nel 2020. Gli aumenti maggiori si verificano negli allevamenti intensivi dei Paesi ricchi.

Aumento del consumo di carne pro capite negli ultimi 40 anni
(in kg. Annui)

Stati Uniti 89 124

Europa 56 89

Cina 4 54

Giappone 8 42

Brasile 28 79

Consumo mondiale di carne e latte
(in milioni di tonnellate)

Anno 1997 2020 incremento

Carne 209 327 + 56%

Latte 422 648 + 54%

La FAO prevede che entro il 2050 la produzione di carne e latte raddoppieranno, passando rispettivamente da 229 a 465 milioni di tonnellate e da 580 a 1053 milioni di tonnellate. Un problema, visto che la conversione delle proteine vegetali in proteine animali avviene con unascarsissima efficienza. Per produrre 1 kg di proteine di carne di manzo occorrono mediamente 16 kg di proteine vegetali. Di conseguenza per ottenere 1 kg di proteine di carne vaccina occorre coltivare una superficie agricola 16 volte maggiore di quella necessaria a ottenere i kg di proteine vegetali. Il rapporto tra la soia e la carne di manzo è invece di 20 a 1. Usando lo stesso tempo e la stessa superficie necessari a produrre 1 kg di carne, si possono produrre 200 kg di pomodori o 160 kg di patate.

Considerando il fatto che, specie in America Latina, la maggior parte della soia e dei cereali coltivati (spesso Ogm, viste le rese e i prezzi stracciati che possono garantire questi organismi dagli effetti sulla salute ancora ignoti) sono destinati a nutrire il bestiame che diventerà bistecca o ragù nei piatti degli europei, viene da chiedersi se, arrivati a questo punto, cambiare anche di poco le proprie abitudini alimentari non sia la scelta più sensata.

martedì 9 ottobre 2012

L'autunno in campagna può essere soffocante (fumetto antispecista)

L'autunno in campagna può essere soffocante
di S. Cappellini e M. Reggio

Elaborato per la mostra "Al Ponte dell'Arcobaleno", organizzata dal gruppo Luna Corre, ottobre 2011
  

Per vedere il fumetto in sequenza e/o stamparlo, vai qui >>
Per vedere il filmato su YouTube >>

giovedì 20 settembre 2012

Un dio sostenibile

Di tanto in tanto, navigando in rete si trovano spunti interessanti per capire in che modo la retorica della "carne felice" può far presa sull'opinione pubblica.
E' il caso di un simpatico articolo che racconta delle difficoltà di un giovane allevatore appassionato al benessere degli animali, nel caso specifico alcuni maiali e - in futuro - alcune capre. Come al solito, ci viene raccontata la favola dello sfruttamento (questa parola è nostra...) in condizioni "rispettose" (questa, invece, è loro...).
Ma, a parte questo, compaiono espressioni capaci di catturare la nostra attenzione di persone ostinatamente convinte che la schiavitù è sempre schiavitù, anche se è dolce, sostenibile, o se i suoi prodotti transitano da un gruppo d'acquisto (solidale...).
Per esempio, "la scelta produttiva dei proprietari del terreno è coraggiosa". Interessante, che si usi un termine per indicare il suo contrario. Perchè disporre della vita di esseri indifesi, determinarne le attività sessuali, i parti e i ritmi vitali, e stabilirne l'ora della morte, possiamo anche chiamarlo coraggio, ma in sostanza intendiamo viltà.
Oppure: "allevamento secondo criteri rispettosi del benessere animale". Il solito ossimoro in stile happy meat, si dirà. Certo. E' che anche il concetto di rispetto ci sta un po' stancando. Funziona sempre molto bene quando si ha qualcosa da nascondere: basta dire che quel qualcosa almeno è rispettoso delle vittime. Ma qui non ci si spinge a tanto: l'allevamento rispetta un concetto, altrettanto fumoso, e cioè il "benessere".

O ancora - dice l'autore dell'articolo: "mi fa vedere come siano puliti i maiali se li si lascia vivere come dio comanda, mi spiega che sono molto intelligenti, che hanno imparato a schiacciare il bottone della fontanella in modo che il getto dell’acqua vada di lato a formare un piccolo stagno". Quanta distanza sembra esserci dal cartesianesimo dei "vecchi" allevatori di animali, che vedevano in essi poco più che macchine. Sembra quasi la descrizione di una vera e propria relazione fra esseri senzienti, umani e non umani. E di una relazione si tratta, in effetti, anche se viziata - ahinoi - da una asimmetria ineludibile, quella fra dominante e dominati. Affannarsi a ricercare nei non umani caratteristiche umane (e delle più alte: l'intelligenza di chi adopera strategie complesse per costruirsi uno stagno, per esempio) è un esercizio che i paladini dei diritti animali conoscono bene, proprio perchè lo hanno praticato a lungo, convinti che l'umanità possa vedere nei non umani dei "quasi umani", come se fosse il grado di somiglianza alla nostra specie a determinare il grado di dignità che siamo disposti a concedere. Forse, però, questo allevatore, così consapevole delle facoltà mentali dei suo schiavi, ci mostra che non è poi così importante che gli animali siano o meno dei piccoli Einstein, se il destino che li attende è comunque il macello.

E infine: l'allevatore ci dice come sia bello "se li si lascia vivere come dio comanda". Come dio comanda... Anche nella versione "bio", lo sfruttamento degli animali è un fatto ineluttabile, è dio che lo vuole. E chi può ribellarsi a dio? Tanto più che è un dio solidale, un dio moderno, il primo dio sostenibile.

martedì 18 settembre 2012

La coop sei tu


L'immagine qui a fianco è tratta da un manifesto pubblicitario COOP.
"Oltre al danno, la beffa", verrebbe da dire.
 Ma, per l'ennesima volta, dobbiamo ricordare che la beffa non è fine a se stessa. Essa fa parte di una strategia che mira a sdoganare la mattanza degli animali - ed il consumo dei loro corpi - come fenomeni accettabili, la cui problematicità può essere ignorata grazie all'intervento degli specialisti del "benessere animale". Nessun complottismo da quattro soldi: non è una strategia occulta, ma un meccanismo che perlopiù agisce autonomamente, con qualche piccolo aiutino da parte del marketing più scaltro e lungimirante.

Certo, i pubblicitari che hanno ideato questo manifesto devono avere bene in mente che esiste una fetta di consumatori che prediligono un supermercato che ha fatto dell'"etica" il proprio marchio di fabbrica, e che questi consumatori si impressionano quando pensano agli allevamenti intensivi, a migliaia di mucche private dei figli e stipate in spazi angusti. E dunque - non sia mai! -, gli animali COOP hanno "tutte le cure che meritano". E chissà perchè nessuno dice quali sono queste cure. Forse così è più facile immaginarsi immensi prati verdi popolati da bovini felici al pascolo.
Ma soprattutto, è più facile non pensare alla fine che faranno, questi schiavi più "fortunati" a marchio COOP. La stessa dei loro simili rinchiusi negli allevamenti industriali, in sostanza, quella che nessuno - a conti fatti - meriterebbe: il macello.

Varie volte abbiamo denunciato la retorica della "carne felice". Raramente, però, ci è sembrata così appropriata, un'immagine, per mostrare come essa opera. Si suggerisce, qui, che lo schiavo sia contento di donarsi a noi. Un gesto di cuore,  di una generosità simboleggiata dalle corna a forma, appunto, di cuore. Quasi grottesche, a ben vedere, sotto una frase che non dissimula neppure il reale status di queste vittime dell'industria "sostenibile": "capi di bestiame", una sorta di lapsus del marketing della carne felice.


lunedì 30 luglio 2012

Massacri biologici

Nel periodo estivo, non si contano le fiere, le sagre, le feste contadine organizzate da associazioni, produttori, enti locali in tutta Italia.
Da un po' di tempo, vanno di moda le iniziative che propongono prodotti tipici, a "filiera corta" o a km zero, e - soprattutto - biologici. E va di moda accostare, a tali iniziative, la parola "etica". Prodotti "sostenibili", sensibilità etica, "rispetto"...
Quante volte, però, dietro a queste parole - tanto altisonanti quanto generiche - si cela la vendita di prodotti della sofferenza animale?
Quante volte, poi, organizzare una festa in cui accanto al pomodorino biologico vengono distribuiti pezzi di corpi animali come se niente fosse è un modo per tranquillizzare tutte le persone che al pensiero delle violenze subite dagli animali iniziano a storcere il naso?
Quante volte si tratta di un pretesto per occultare un massacro generalizzato ricordando che lo sfruttamento può essere "sostenibile"?
Ma sopratutto: lo sfruttamento può mai essere sostenibile?
Pubblichiamo la lettera di un'attivista che ha scritto ad una delle tante feste "etiche", la Bio-festa di Polpenazze (BS).

martedì 26 giugno 2012

Liberate 72 galline dallo sfruttamento "bio"


L'8 giugno gli attivisti di Igualdad Animal / Animal Equality e dell'organizzazione Equanimal, hanno riscattato 72 galline da un allevamento biologico nei Paesi Baschi.
In un primo momento le galline sarebbero dovute essere 50, ma alla fine se ne sono aggiunte 22 più del previsto, ed è stato così possibile salvare 72 individui da morte certa. Per l'allevatore non erano altro che mezzi da sfruttare finché produttivi, e da eliminare quando non più redditizi. Se Igualdad Animal / Animal Equality e Equanimal non si fossero preoccupate di salvarli e di dar loro la possibilità di una vita diversa, sarebbero stati tutti uccisi.

Negli allevamenti biologici, così come in tutti gli altri, il valore della vita di un animale è valutato in base al profitto che può produrre; quando il guadagno di chi sfrutta diminuisce è arrivato il momento di mandare gli animali al macello.

lunedì 25 giugno 2012

Una visita a "Terra Madre": la capra



Tanti anni fa incontrai una capra: era la capra di Saba. Si erano parlati , la capra legata e il poeta, e il linguaggio universale del dolore per l'ingiustificabile costrizione aveva creato quella misteriosa solidarietà che rende tutti gli animali eguali. L'ho incontrata in altre sofferte occasioni e l'ultima volta risale a qualche giorno fa.

Durante la manifestazione allegra e colorata di Slow Food, Terra Madre, organizzata nel parco di Monza in una bella giornata di sole, lei era là. Dopo le lunghe file di ortaggi a Km zero, vini bio, giocattoli di legno non trattato e tutte le rigogliose offerte della natura e del territorio, eccola là in fondo. Qualcuno la rimestava nel pentolone, ridotta a pezzi, distribuita a prezzi "democratici" agli avventori ecocompatibili, tutti coscienziosi nel dividere i rifiuti, vetro carta organico, fieri della nuova moralità alternativa da trasmettere alla prole, se la gustavano ben bene, poca ma buona, bio allevata, fa bene alla salute e non inquina.