"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

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lunedì 28 settembre 2015

4/10 (Pisa) - proiezione de "Il biglietto d'ingresso" e dibattito con BioViolenza

DOMENICA 4 OTTOBRE - PISA
Teatro Rossi Aperto
Piazza Carrara, 56126 Pisa
ore 17.30
 
All'interno del Festival pisano "Tutti nello stesso piatto" al Teatro Rossi Aperto Tutti Nello Stesso Piatto - tour Pisa discuteremo di liberazione animale focalizzandoci su "chi è cibo" e su chi viene definito ingrediente, prodotto o alimento dopo aver passato la soglia del mattatoio.

E' possibile definire "carne felice" chi ha trascorso una vita da schiavo e scandita dai tempi del business della zootecnia e dello sfruttamento?

Quali strategie di marketing si nascondono dietro lo slogan "allevamento sostenibile"?

Ne parleremo con Bio Violenza - al mattatoio sani e felici e Ippoasi dopo la proiezione del documentario "Il biglietto d'ingresso".

martedì 23 dicembre 2014

Come spacciare per animalismo il marketing a favore delle aziende dello sfruttamento...



Da qualche giorno tutti gli animali imprigionati, tutti quelli che stanno per essere ammazzati nei mattatoi, e anche noi animalisti siamo molto più contenti. Sappiamo, infatti, che CIWF sta lavorando per noi ed è ancora più vicina agli animali che soffrono negli allevamenti!
CIWF annuncia, attraverso la sua mailing list, che è nata CIWF Italia Onlus.

Ora possiamo devolvere a CIWF anche il nostro 5 per mille. Soldini preziosi per supportare un ente che premia, tra gli altri, Amadori, McDonald’s, Cocacola,Burger King e molte altre belle e brave aziende che hanno strepitosamente a cuore il benessere animale (potete vederle tutte alla pagina www.compassionsettorealimentare.it/premi/)
CIWF continua la sua assurda politica di intorbidimento delle acque e continua a fare il gioco dell’industria della carne che, anche in vista di Expo 2015, deve darsi un contegno etico, sostenibile e “fruttuoso”.

Come al solito gli animalisti ingenui ci cascano e gli appelli di CIWF continuano a circolare anche nel nostro ambito.

Gli esponenti di CIWF vengono pure invitati a parlare in convegni animalisti e, se va avanti così, prima o poi potrebbero anche proporsi come gruppo guida delle rivendicazioni.
Grazie al cielo molti gruppi e qualche associazione nazionale hanno preso posizione netta contro questo gruppo di filo allevatori benevoli finti animalisti ma sarebbe auspicabile che tutto il mondo animalista/antispecista si dissociasse esplicitamente da CIWF.
Da nessuna parte, nel programma di CIWF Italia, si menziona l’essere contrari all’uccisione di animali e allo sfruttamento animale. 
Il problema è solo il grado di benessere o malessere degli animali negli allevamenti. Problema importante per un carnivoro sensibile. Irrilevante per noi.

Fosse scritto da qualche parte che CIWF punta alla fine dello sfruttamento animale e che, in vista di quel fine lontano, per ora si accontenta di migliorare la qualità della vita dei condannati a morte, potrebbe anche essere vagamente accettabile. Ma che MAI ci sia una parola contro la carne, è la cartina tornasole del doppio (se non triplo) gioco che sta facendo questa associazione. 
CIWF bara nei confronti dei consumatori (tutti ci sentiamo “etici” e possiamo mangiare con la coscienza tranquilla), bara nei confronti degli animalisti (Wow! Evviva! un’associazione grande e internazionale che combatte per gli animali!), bara nei confronti degli animali (che vengono lo stesso sfruttati e uccisi e pure viene dato un premio a chi li uccide).
Gli unici con cui CIWF non bara sono gli industriali, che anzi, probabilmente si gongolano al pensiero di ricevere medaglie al valore per aver saputo sfruttare al meglio la loro merce vivente (anzi morente).

Ringraziamo quindi CIWF che si batte strenuamente per difendere l’immagine delle aziende che premia, tutte desiderose di migliorare gli standard di allevamento.

E pensare che fino a ieri tutti noi credevamo che fosse meglio non andare a mangiare da McDonald’s!


Per approfondimenti leggi sul blog “la china scivolosa della compassione"

giovedì 22 maggio 2014

L'ingiustizia del "cibo giusto": Serge Latouche e la decrescita "felice" fra salami e prosciutti



L'INGIUSTIZIA DEL "CIBO GIUSTO"


Proprio nello stesso periodo in cui è in atto la Settimana Mondiale per l’Abolizione della Carne, Serge Latouche, teorico della decrescita, sarà a Pisa per un incontro dal titolo “Il cibo giusto”.

Noi non sappiamo quello che dirà Latouche, sappiamo solo che, al termine, ci sarà un aperitivo a filiera corta con vari prodotti tra cui ricotta, prosciutti, salami, coppe…

“Il cibo giusto”. E’ proprio il titolo di questo incontro che colpisce, che punta il dito sulla questione basilare e nello stesso tempo, con plateale indifferenza, la ignora, la mortifica, la annichilisce.
Sì! Perché la questione del cibo è proprio legata alla giustizia. Prendere qualcuno e renderlo cibo, renderlo prodotto, renderlo merce significa dimenticare il proprio simile animale, significa relegarlo a qualcosa che posso usare, sfruttare, manipolare e gestire come una risorsa, come un attrezzo, come un bene. Significa anche e soprattutto ignorare (o fingere di ignorare!) che ad essere usato, imprigionato, gestito, ingrassato e ucciso è un individuo dotato di coscienza, pensieri, sensibilità, intelligenza.

Noi tutti sappiamo che cos’è un’ingiustizia. Forse non tutti riusciamo a definirla in modo corretto e impeccabile, ma per il solo fatto di essere in questa civiltà, sappiamo di cosa si tratta, lo sappiamo per averla subita, per averla vissuta, per averla vista applicare su chi abbiamo intorno. Quando vedi un’ingiustizia ne senti il peso e, un po’, ti ribolle il sangue e vorresti agire, reagire. Questo accade perché sai che anche quella, come tutte le altre ingiustizie, potrà proliferare, potrà sopravvivere ed espandersi proprio grazie alla tua indifferenza. E’ strana l’ingiustizia! Non ammette neutralità. O ti schieri contro o, in automatico, stai favorendo il carnefice, colui che la vuole applicare, colui che se ne sta avvantaggiando.

Lo specismo, quella complessa e millenaria ramificazione di condizionamenti che ci portiamo addosso, consente incredibili scappatoie, permette, ad esempio, di parlare di giustizia, proprio mentre si sta festeggiando sul cadavere di un individuo a cui è stata tolta libertà, un individuo che è stato tenuto rinchiuso, un individuo a cui è stato impedito di vivere secondo le proprie aspettative, la propria indole, il proprio modo di percepire e interpretare la realtà. La giustizia, allora, viene rinchiusa in un rigido compartimento. Il cibo è giusto se è buono e mi fa bene. Il cibo è giusto se è autoprodotto. Il cibo è giusto se non entra al supermercato, se non è confezionato, se ha la filiera corta. Il cibo è giusto finchè l’asse del ragionamento riesce a mantenersi saldo e prepotentemente ancorato all’umana superiorità, ad una visione del mondo in cui chi è diverso è anche situato su un gradino più in basso. Un tempo, su quel gradino più in basso (ma ancora oggi), ci stavano gli schiavi umani. Fornivano lavoro giusto perché tanto erano “quasi umani” e naturalmente destinati ai lavori imposti, erano diversi da noi. Un tempo (ma ancora oggi) ci stavano le donne. Inferiori, usate, sfruttate. E chiaramente l’elenco di chi veniva e viene posto su un gradino più in basso si potrebbe allargare a gay, lesbiche, trans, intersex, rom e a tutte le categorie rese oggetto, feticcio, categorie ridicolizzate perché diverse dallo stereotipo condiviso, diverse da ciò che evade dal modello dominate. Gli esempi sono tanti e ciascuno ha diverse sfumature e caratteristiche, ma quello che conta è l’asse portante, perché in tutti i casi la dinamica che giustifica e fortifica l’ingiustizia è sempre uguale. Il diverso può essere usato, dominato e discriminato. Il diverso è una risorsa che può essere gestita e controllata per i nostri personali interessi.

Lo specismo consente di tenere un comportamento giusto ed etico pur continuando a sfruttare e a discriminare in modo sistematico e consapevole chi è diverso, pur continuando a togliergli la libertà, pur continuando ad impedire all’altro da sé di vivere le proprie speranze, di realizzare le proprie attitudini, i propri desideri. Lo specismo è comodo e, soprattutto, indispensabile a mantenere la status quo. Basta dimenticare chi ha un corpo diverso, basta renderlo oggetto e il gioco è fatto.
Tutto questo, per di più, può avvenire nella più totale buona fede. Guardando solo all’umano, guardando solo al maschile, guardando solo al bianco occidentale si possono ignorare le più elementari norme di tolleranza, si può dimenticare l’etica, si po’ credere di compiere azioni rivoluzionarie, si può essere convinti di lavorare concretamente per il cambiamento di questa società pur continuando a rispettarne e ad incarnarne l’essenza, pur continuando a scandirne la grammatica. In realtà, come appare ovvio, non si sta facendo altro che perpetuarla rafforzandone le regole basilari.

Perché ciò che conta non è cosa si mangia!
E’ curioso, infatti, notare come il cosiddetto veganismo salutista, pur essendo vegan, segue esattamente la stessa dinamica di chi, organizzando un incontro sul cibo giusto, festeggia sulla prigionia, sulla sofferenza e sulla morte di qualcun altro. Ciò che rimane immutato è lo specismo.
Anche nel caso del veganismo salutista, infatti, l’altro da se’ (in questo caso la mucca, il maiale, la gallina…) viene dimenticato, deprivato dal suo essere soggetto di una vita per essere trasformato in oggetto/cibo che, solo per il fatto di far male alla salute, dovrebbe essere evitato. In un caso l’oggetto/cibo deve essere trattato con determinate metodologie per essere cibo giusto, nell’altro, invece, deve essere evitato proprio come si eviterebbe una sostanza tossica. Il risultato cambia, è chiaro, ma l’essenza della società specista, il suo perpetuarsi, il suo inesorabile mantenersi come struttura che domina e dirige le nostre esistenze, non viene scalfito neppure di una virgola. E come ovvia conseguenza, in entrambi i casi, a livello globale, gli umani, gli animali e l’ambiente continueranno ad essere dominati e sfruttati.

Nonostante le intenzioni, nonostante il desiderio di cambiare le cose, si finisce per essere funzionali a ciò che si vorrebbe cambiare.

La cosa più sconcertante di questo paradosso, di questo impegno attivo verso il cambiamento che diviene asservimento alle logiche del dominio, però, è un’altra, ed è legata all’evidenza dei fatti, a quanto sia chiaro e inequivocabile che abbiamo di fronte delle persone non umane, delle popolazioni di persone non umane. Di quanto questo fatto sia stato dimostrato anche da quella stessa scienza che regge e giustifica la nostra società specista. Dopo la Dichiarazione di Cambridge del 2012 sulla coscienza, infatti, è stato sancito ufficialmente che noi umani, insieme a tutti gli altri animali che imprigioniamo, segreghiamo, sfruttiamo, ingrassiamo e uccidiamo, siamo dotati di coscienza, di quella stessa coscienza che ci permette di essere consapevoli, di prendere decisioni. In questo non c’è differenza tra noi e gli altri animali!

In realtà, anche in questo caso, ritroviamo le stesse dinamiche del razzismo del sessismo, dell’omofobia. In passato era pur sempre ovvio e visibile a tutti che le persone con la pelle nera non erano quasi umani, che le donne non erano inferiori, meno intelligenti, senz’anima, senza diritti e naturalmente votate alla sottomissione. Oggi è quantomai evidente che l’omosessualità non è una malattia mentale. Eppure occorreva crederlo, era indispensabile farlo per tenere in piedi le società bastate sullo sfruttamento, le società fondate su un preciso modello patriarcale. Il condizionamento, in realtà non ancora estinto del tutto, era talmente forte che non bastava certo vedere con i propri occhi, che non bastava certo dare ascolto alla propria empatia, al proprio senso razionale. E non sarebbe bastata neppure la dichiarazione di qualche scienziato. C’è voluto e ci vuole di più, molto di più!

Ma tornando al “cibo giusto” si potrebbe anche affermare che non importa, che posso pretendere per me il cibo buono, facile, il cibo che mi dà libertà dal sistema e gusto per il palato anche infischiandomene dell’etica, anche se questo comporta il passar sopra come un bulldozer su tutti i principi di libertà e di giustizia.

Eppure non è così, non è questo il caso.
Perchè è sempre una molla etica quella che spinge a desiderare cibo a chilometro zero, che spinge a mangiare sul mater-b invece che sulla plastica, che spinge a porsi contro un sistema che pretende la crescita infinita, che spinge a lottare contro le nocività. Ma, nello stesso tempo, se questa molla etica non allarga i suoi orizzonti, se non mira più in alto, se non prende in considerazione la radice che determina lo sfruttamento e il dominio sarà sempre destinata a fallire, sarà sempre destinata a perpetuare lo sfruttamento e la devastazione, i disastri ecologici e le ingiustizie. Nessuna società libera, ecologica, etica, infatti, potrà mai nascere o rinascere fondandosi sulla prigionia, sulla sofferenza e sullo sfruttamento.


Troglodita Tribe

mercoledì 15 gennaio 2014

La statua di EXPO 2015: chi è cibo?


La statua "targata" EXPO esposta all'aeroporto di Malpensa
Expo 2015 ruoterà intorno all'argomento CIBO.
Argomento sicuramente centrale visto che da quello dipende la sopravvivenza di tutto il vivente.
Argomento importante per le implicazioni sociali, culturali e politiche che la distribuzione del cibo comporta.
Argomento succulento dato che il cibo è anche piacere e avventura.

Ma il punto fondamentale che EXPO probabilmente NON prenderà in considerazione, è la differenza tra chi CONSUMA cibo e chi È cibo.

Se fossimo NOI il cibo degli altri, cosa penseremmo dell'arroganza e della violenza di questa scultura promozionale di EXPO?

In questa rappresentazione grottesca dell'ingordigia umana (forse molto più vicina alla realtà di quanto possa sembrare a prima vista) l'unica cosa che non viene problematizzata è proprio la questione fondamentale: con quale diritto inforchiamo galline, uccidiamo lepri, ci mettiamo le salamelle a tracolla e, come tutti i bravi cacciatori, ci mettiamo i cadaveri attaccati al cinturone?

Lasciando perdere il machismo caricaturale di questa scultura (così esagerato da essere quasi autoironico), perché rappresentare con una sorta di Gargantua/Pantagruel (che tutto mangiano senza vergogna) un'umanità che si erge tronfia sopra il resto del vivente pur di soddisfare la sua insaziabile pancia e il suo viziatissimo palato? 

Se questa è l'immagine con cui EXPO vorrebbe reclamizzare la "questione-cibo" ai cittadini del mondo (la scultura si trova all'aeroporto di Malpensa), ci sembra che abbia imboccato un sentiero che andrà a sfociare nella comoda autostrada della BIO-Violenza.

Peccato che Gastone Mariani, attuale direttore dell'Accademia di Brera, nella  presentazione della mostra "Il dolore degli altri animali" nel marzo del 2012, avesse espresso questo auspicio: "In concomitanza con EXPO 2015, convengo che Milano, capitale mondiale della sostenibilità ambientale ed alimentare, meriti una finestra di osservazione e riflessione sul nostro rapporto con la più grande parte degli abitanti del Pianeta." Parole amaramente cadute nel vuoto pneumatico emanato del personaggio elevato sul piedistallo come un megalomane ubriaco.

Teniamoci pronti perché ne vedremo (e soprattutto sentiremo) di tutti i gusti.
L'elogio del salamino è solo l'antipasto.

Progetto Bio-Violenza
Al mattatoio felici e sani


mercoledì 27 novembre 2013

Genuino Clandestino e la fattoria (in)felice...


"Immaginare e costruire una Fattoria veramente felice è possibile, ed è un posto nel quale la rinuncia totale allo sfruttamento degli animali non umani annienta la catena del dominio, invece di spezzarne solo qualche anello. Un posto nel quale rinunciare finalmente a tutte le forme di oppressione, non solo a qualcuna.
E solo lì il maialino pirata, tristemente guercio, potrà veramente trovare la felicità, libero da sofferenza, tortura e morte". 

Segnaliamo un interessante articolo sulla campagna Genuino Clandestino, che ne analizza le contraddizioni e il riferimento alla "fattoria felice", quell'immagine bucolica ben descritta e criticata da Troglodita Tribe nel libro di cui abbiamo già avuto occasione di parlare, "La fattoria (in)felice: animali e contadini".

L'articolo è pubblicato sul blog Intersezioni, e potete trovarlo qui:


Buona lettura!

giovedì 25 luglio 2013

I polli abbandonati dagli hipster

Segnaliamo un interessante - e preoccupante - articolo su uno degli effetti (collaterali?) della moda del consumo di prodotti dello sfruttamento animale "a km zero".





I polli abbandonati dagli hipster




C’è un’emergenza-polli a Brooklyn: non sono i cani, tristi protagonisti di molte campagne pubblicitarie anti-abbandono ogni estate, a essere al centro dell’attenzione, ma le galline. I cosiddetti foodies, maniaci del cibo bio-chic a km 0 (insomma, avete capito), spesso associati alla comunità “cosiddetta” (con molte virgolette) hipster, stanno spezzando il cuore a molti volatili e ad altrettanti amanti (veri) dei volatili stessi.
Perché queste persone avevano comprato delle galline? Perché a Brooklyn? Perché avrebbero potuto avere uova fresche direttamente in casa (nemmeno sotto casa, ma proprio in), a filiera non corta, ma inesistente. I problemi di avere un pollaio in casa, però, sono molti.
Prima di tutto la puzza e lo sporco: nell’autunno del 2012, a Park Slope, Brooklyn, ci fu la prima “guerra dei polli”: un gruppo di entusiasti aveva comprato otto animali da sistemare in un piccolo appezzamento di terreno. Centosessanta firme di residenti erano state raccolte contro i volatili, che avrebbero attratto, secondo i contestatori, ratti e malattie.
Ora il problema si fa più serio: Susie Coston, direttrice di tre fattorie che fungono da ricovero per animali nei dintorni di New York, denuncia un numero impressionante (circa 500) di galline abbandonate ogni anno. «Quando non depongono più vengono messe su Craiglist» spiega. Il problema è che una gallina depone uova solitamente per due anni, e rimane poi altri dieci anni senza più deporre. E il tuo piccolo pollaio home-made si trasforma in un ammasso di piume puzzolente da nutrire senza “profitto”. Questa, spiega la Coston, è un’informazione indispensabile ma che nessuno di quei “dannati foodies” conosce.
Mary Britton Clouse, direttrice dell’associazione Chicken Run Rescue, ha detto alla NBC: «Le persone non hanno idea di quello che stanno facendo. E c’è tutta questa cultura di persone che non sa cosa sta facendo che insegna cose a ogni altro idiota là fuori!».

giovedì 7 marzo 2013

Scandali alimentari e idea di uguaglianza



SCANDALI ALIMENTARI E IDEA DI UGUAGLIANZA
di Camilla Lattanzi

In Germania è in corso l'ennesimo scandalo per le uova contrassegnate con lo ZERO che dovrebbe significare bio-free range (allevate a terra)  e che invece provenivano da galline allevate in gabbia.
Qui l'articolo e l'orribile video che mostra la condizione in cui venivano (o sarebbe meglio dire vengono regolarmente)  tenute le galline "biologiche":
http://www.peta.de/web/eierrecherche2012.6700.html

Contemporaneamente in Sudafrica è stata smascherata un'altra, analoga frode alimentare: carni di asino, bufalo indiano o montone utilizzate al posto di quelle bovine, ma anche suine o avicole, per confezionare prodotti venduti regolarmente nei supermercati, senza però che i reali ingredienti fossero dichiarati sulle etichette.  E in tutto il mondo Ikea, Nestlé e Kraft ritirano dal mercato tonnellate di formaggi cioccolate e torte in quanto contaminate da batteri fecali.
Naturalmente l'accento viene messo sulla “frode ai danni del consumatore” perché l'ottica è graniticamente antropocentrica: il ricco consumatore esigente tiene alla sua salute e chiede che gli alimenti siano biologici. E’ disposto a spendere di più per mangiare meglio di altri consumatori meno danarosi e meno consapevoli. Paga dunque pretende, perché è la sua salute a essere messa a repentaglio.

Sulle condizioni degli animali schiavizzati e uccisi l'enfasi è assai minore e così, mentre sono tanti i consumatori a sbraitare che ci vogliono più controlli nel biologico, sono pochi gli esseri davvero "umani" che si curano della sofferenza e della morte ingiustamente inflitte ad altri viventi senzienti.
Ancora una volta pare evidente che non può esistere un uso "incolpevole" dei prodotti animali, e che l'alimentazione vegetariana da un lato e onnivora-biologica dall'altro sono foglie di fico sempre più strette, sia perché sono d'elite, sia perché sono vittime anch'esse di continue operazioni di contraffazione. Questo se vogliamo guardare al problema solo dal punto di vista salutistico.
Dal punto di vista etico poi, il discorso non sta proprio in piedi: quale fine si pensa che facciano quelle galline lì quando la produzione di uova, con l'aumentare dell'età delle galline-schiave, inevitabilmente cala?
Finiscono nei piatti dei nostri amici onnivori e ghiottoni, nelle salsicce Wudì e nei sughi AIA quando le cose vanno come ci si aspetta, in qualche produzione a marchio BIO quando invece non vanno per il verso giusto, mescolate magari alla carne di cavallo di bufalo di asino o montone del precedente scandalo, e sarebbe così anche se fossero davvero allevate con il garbo che l'ingenuo consumatore seguace del biologico si aspetta.
Chiedersi se sia accettabile che il ciclo di vita di creature viventi venga abbreviato a un decimo per questioni di profitto e ghiottoneria, però, non viene in mente nemmeno ai garbati vegetariani o agli onnivori seguaci del bio, che su questo tema somigliano in tutto ai loro "opposti", onnivori e habitué dell'agrochimico.

Morale: noi consumatori critici, che ci sentiamo esenti dagli effetti degli scandali grazie alla frequentazione di mercati contadini e Gruppi d’acquisto solidale, non possiamo più ignorare che ormai anche l'alimentazione è diventata una questione "di classe".
Ai poveri non resta che ingozzarsi di animali sofferenti e malati, o pesticidi chimici velenosi, con buona pace delle coscienze di chi ha il potere d'acquisto e il capitale culturale che gli consente di fare scelte un po' meno rischiose, purché disposti a pagarle a caro prezzo.
Nel mondo sempre più autoreferenziale e individualista del "consumo critico", il discorso prevalente è oggi quello di una decrescita orientata all'autoproduzione. Minore è l'enfasi per inventarsi lotte e campagne per la chiusura di allevamenti e macelli e la completa proibizione dei pesticidi. La dimensione politica del cambiamento è sempre più scolorita, e pressoché assente è l'attenzione alla sorte inflitta agli animali non umani, vittime predestinate e predilette di un sistema produttivo che andrebbe messo in discussione nel suo insieme, indagando sulla sua logica di violenza e sopraffazione. 
La mutazione genetica da cittadino a consumatore ha contagiato anche il mondo del consumo critico, per cui isolarsi in un Eden di salute e benessere individuale viene preferito a praticare una politica attiva verso le istituzioni e le imprese per affermare il diritto alla salute collettiva . Ma solo una battaglia simile potrà davvero restituirci un piano di uguaglianza dei cittadini almeno nel momento in cui si alimentano, momento centrale per il benessere e la salute, dove le differenze di classe sortiscono gli effetti più devastanti. E in questa sede di azione collettiva potrebbe aprirsi finalmente una finestra sull'alimentazione "cruelty free", finora snobbata nell'ambito dei Gruppi d’acquisto solidale (Gas) e dei "consumatori consapevoli", forse per eccesso di prudenza o forse perché è mancata la volontà di affrontare un serio approfondimento.

E’ a dir poco ironico l’esito dell'ultimo scandalo verificatosi in Islanda: un lancio di agenzia del 1mo Marzo ci racconta che le autorità alimentari islandesi - alla ricerca di carne di cavallo "clandestina" - hanno esaminato dei "tortini di carne" senza trovarvi alcuna traccia animale: "non contenevano dna mammifero", ha spiegato l'ispettore alimentare Kjartan Hreinsson, aggiungendo che i prodotti sembrano essere stati riempiti di “prodotti vegetali”. Le autorità della capitale islandese stanno indagando. "È una cosa piuttosto bizzarra", ha ironizzato Hreinsson.  
E chissà che la “frode” islandese non abbia preservato la salute di questi appassionati consumatori di “tortini di carne”, ritrovatisi “vegetariani a loro insaputa”.
Adesso la domanda è: cosa sceglierà di fare il “consumo critico e consapevole” che si trova di fronte all’evidente gerarchia classista tra consumatori mai così evidentemente collegata alle conseguenze di un modello di dominio e potere tra viventi?