"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

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mercoledì 26 giugno 2013

Sediamoci... intorno a un tavolo: il sapere accademico come sedativo delle coscienze (report da un convegno alla Sapienza)




Il 20 giugno scorso si è tenuto a Roma il convegno “Uccidere senza dolore. La ‘macellazione inconsapevole’  fra etica e scienza” organizzato dal Master in Etica pratica e bioetica dell’Università Sapienza di Roma e dal Comitato Bioetico per la Veterinaria, di cui avevamo dato notizia in precedenza (qui: http://bioviolenza.blogspot.it/2013/06/su-un-convegno-alla-sapienza-uccidere.html).

Un’attivista di BioViolenza è andata ad assistere ai lavori, intervenendo del dibattito, e ci ha inviato un resoconto della giornata, che vi proponiamo.

Sediamoci... intorno a un tavolo: il sapere accademico come sedativo delle coscienze

Da persona estremamente curiosa e conscia del fatto che sia necessario sapere cosa e chi ci circonda ho deciso di andare al convegno “Uccidere senza dolore. La macellazione inconsapevole fra etica e scienza” all’Università La Sapienza. A distanza di giorni non credo di essermi del tutto ripresa.

Non racconterò nei dettagli gli interventi dei singoli relatori, poiché a mio avviso inutili e in altri casi persino grotteschi, ma mi limiterò a fare un resoconto di quello che è emerso dal convegno.

In sostanza il convegno nasce con l’idea di proporre una sorta di tavola rotonda con lo scopo di lavorare insieme, biologi, veterinari e qualche altro “tecnico” della questione della sofferenza animale per migliorare le tecniche di macellazione e per rendere sempre più inconsapevoli gli animali di quello che spetterà loro dopo la breve vita negli allevamenti. Vita che per quanto breve dovrà, sempre a detta loro, essere piena di gioia e serenità e ricca di tutti i comfort possibili. Fra i presenti al convegno (una quarantina di persone, di cui molti studenti) scopro alcuni vegetariani e probabilmente qualche vegano/a.

Aprono la mattinata di lavoro Piergiorgio Donatelli - il moderatore e direttore del Master in Etica Pratica e Bioetica che ospita il convegno -  e  Simone Pollo (Sapienza e responsabile di redazione della rivista Bioetica). Il secondo sostiene che bisogna rafforzare l'INCONSAPEVOLEZZA degli animali riguardo quello che capiterà loro dopo la vita in allevamento. In sostanza si tratta di eliminare i fattori di ansia come l'attesa, lo stress ecc.. La sua proposta consiste essenzialmente in questo: utilizzare sostanze chimiche per l’uccisione dell’animale, che in questo modo non dovrebbe essere dolorosa e che dovrebbe soprattutto renderlo meno consapevole. Questa pratica però presenterebbe delle controindicazioni. Non ci sono dati certi relativi alla pericolosità o meno di questo farmaco per l’uomo. Seppur somministrato in dosi minime, infatti, non è ancora certo se la sostanza venga smaltita prima di finire nella carne che poi verrà consumata.
Su questo punto tornerà l'ultimo relatore, ma non sarà in grado di dare risposte sensate, soprattutto quando gli verrà chiesto il prezzo del farmaco (ad oggi, esorbitante).
Pollo poi propone una riflessione: oggi la macellazione è sostanzialmente un fenomeno nascosto, quello che potrebbe derivare dal fatto di parlarne è che il dibattito diventi pubblico e che quindi la gente ne parli di più e chieda sempre più trasparenza. Cosa che a suo avviso è giusta, poiché consentirà la crescita morale della persona, poiché sapere è un diritto. Qual è dunque il costo morale della bistecca, si domanda? 
Riflette profondamente sul fatto che se tutti sapessero quello che accade realmente dietro le quinte degli allevamenti e nei mattatoi le persone non diventerebbero ugualmente vegetariane, ma sottolinea nuovamente quanto sia fondamentale che la gente sappia.

Conclude il suo intervento domandosi se non sia forse più opportuno aprire dei dibattiti, delle tavole rotonde per parlare di sofferenza animale e per sensibilizzare l’opinione pubblica piuttosto che entrare nei laboratori come è di recente accaduto a Milano. Avendo intuito per tempo dove stava andando a parare e capendo che non ci sarebbe stato modo alla fine del convegno (in primo luogo perché, onestamente, non sapevo se avrei resistito fino alla fine, in secondo luogo perché non appena avessi impostato la domanda sono sicura mi avrebbero risposto che non c'era più tempo...) sono dovuta intervenire chiedendo che venisse detta la verità su quanto accaduto a Milano (anche se non era il momento degli interventi ma in tutta onestà non ho visto alternative) sostenendo che i fatti non sono, almeno ad oggi, proprio così e che la volontà di parlare negli ultimi tempi si sta manifestando, come testimonia proprio un dibattito organizzato presso la Statale di Milano [1], ma che questa è stata negata (il dibattito è stato infatti annullato) [2]. Davanti a questa mia dichiarazione mi è stato brutalmente suggerito dal moderatore di tacere. Cosa che mio malgrado ho dovuto fare ma solo dopo aver ribadito diverse volte che la verità continuava a non essere raccontata.

Non mi dilungherò altrettanto sugli altri interventi.
Silvana Diviero – università di Perugia - sottolineando insistentemente come il suo intervento sia di impostazione scientifica e non etica, parla delle 5 libertà [3], di benessere etc. Percepisco però che sotto sotto si rende conto che la questione etica è più forte di quella scientifica, lo lascia trapelare anche quando si "scontra" con un biologo sostenendo che anche crostacei et similia sono creature,  che su quello non si discute e che tutti soffrono. Ma fa un grosso errore: parla di quanto alcuni animali siano estremamente intelligenti, come ad esempio le galline, e sembra voglia indurci a chiedere: ma come si fa ad uccidere un animale così intelligente? Una ragazza tra il pubblico le farà poi notare che con questo tipo di ragionamento si rischia forse di fare discriminazioni sulla base dell’intelligenza e si decide di uccidere chi è intelligente o no. La mia mente mi riporta immediatamente al trattamento dei malati, debilitati e feriti e al programma T4 dei campi di sterminio [4]…E pensare che proprio all’inizio del convegno il moderatore si era persino indignato alla folle idea che ci siano delle persone che sostengono le forti analogie tra lo sterminio degli animali e l’olocausto degli ebrei…

Interviene poi Beniamino Cengi Goga - Università di Perugia. Percepisco subito essere una persona estremamente pragmatica. Va subito al sodo. “L'uomo non è un carnivoro” – sostiene -, e a questo proposito cita testi e diverse ricerche. “Mangiamo carne frullata e non muscoli e ossa”. Parla degli strumenti di tortura, di quelli aboliti in Germania e Inghilterra. Parla della carne kosher...parla e soprattutto, fa vedere un video, sulla TRAPPOLA ROTANTE che viene utilizzata nei macelli per ottenere la suddetta carne. L’animale viene intrappolato e bloccato in una sorta di box metallico. Rimane fuori solo la testa e per l’animale non ci sono vie di fuga.
Una sua riflessione mi desta dallo stato di torpore in cui ero caduta dopo aver visto un simile arnese di tortura (lo sguardo di quella mucca agonizzante non mi abbandona dal giorno del convegno): “mi rendo conto che in effetti a parlare di BENESSERE ANIMALE si rischia di essere incoerenti, forse sarebbe meglio parlare di…PROTEZIONE”. Credo non ci sia molto da commentare.

Interviene poi Pasqualino Sartori, Presidente del Comitato Bioetico per la Veterinaria. Propone MATTATOI MOBILI per risolvere la questione del trasporto, parla di FILIERE ETICHE e di feromoni.
Credo di essere arrivata al punto di saturazione e penso a pochi minuti dalla fine di non voler più sentire altro. Ma per qualche malsana ragione decido di restare e infatti credo di aver sentito, proprio alla fine del convegno, una delle cose più sensate di tutta la mattinata: nonostante banalizzi, a mio avviso, la scelta vegetariana e vegana sottolinea come questa, anche se riguardasse l’intera popolazione mondiale, da sola non cambierebbe comunque lo stato delle cose. Ha altresì evidenziato come la questione degli animali, se vuole essere affrontata, deve essere messa sul piano politico, cosa che in molti, continua, non vogliono fare perché ritenuta inappropriata. 
Come non dargli ragione, almeno su questo punto?
Con questo non si vuol certo denigrare la scelta vegan, lungi da me, ma banalmente sottolineare come la “semplice” scelta individuale di non mangiare e consumare prodotti di origine animale, per quanto lodevole e a mio avviso giusta, da sola non possa risolvere la questione dell’olocausto degli animali. Questa deve, a mio parere, necessariamente essere inserita in un contesto antispecista e di liberazione di ogni essere vivente. Perché obiettivamente, di vivere in un mondo dove anche ammettendo che non ci siano animali sfruttati, non ci sia più carne di origine animale (ma magari ottenuta chimicamente…) etc  ma dove ancora ci siano forme di discriminazione come quella di genere o di etnia…bè va da se che proprio non mi va.

Tornando al convegno, l’ultimo intervento è stato quello di Giovanni Vesce – università di Napoli. Lo ammetto, ho un po’ di difficoltà a decifrare le sue parole. Parla di quanto sia orribile la pistola captiva, parla delle 3 R, parla di EUTANASIA ANIMALE DA MACELLO perché macellare è orribile. Parla della dichiarazione di Cambridge del luglio 2012 ("l'uomo non è l'unico animale ad avere consapevolezza”). Propone i farmaci per ucciderli. Che però sono carissimi, anzi no di più (ma non dice i prezzi, ci gira intorno).

Inizia il dibattito (c'è poco tempo). Uno o due animalisti (presumo) intervengono e a denti stretti fanno capire che insomma, questi poveri animali vanno rispettati e che se proprio bisogna mangiarli almeno che si mangi meno carne.

Quando qualche giorno fa, prima di andare al convegno, ho guardato il programma e ho letto il titolo dell’ultimo intervento “Stato di coscienza, stordimento e macellazione…ma la sofferenza?” ho pensato: ecco, lui dirà senza dubbio qualcosa sul fatto che gli animali soffrono e che forse non andrebbero uccisi. Forse l’idea di sentire il suo intervento, nella speranza di sentire una voce fuori dal coro, è quello che veramente mi ha spinto a resistere fino all’ultimo. Mi sono dovuta ricredere subito. L’animale soffre? Non c’è problema, sediamolo, anche se i prezzi sono esorbitanti, e il gioco è fatto. Tutto, purché si mangi carne.


Frak82

NOTE
[3] A tal proposito, si veda: “Cinque libertà: tanto rumore per nulla” (http://bioviolenza.blogspot.it/2012/08/cinque-liberta-tanto-rumore-per-nulla.html)
[4] “Iniziò l’eliminazione sistematica dei teschi con ritardi mentali, disturbi emotivi e infermità fisiche che costituivano motivo di disagio per il mito della supremazia ariana”. (Charles Patterson, Un’eterna Treblinka. Il massacro degli animali e l’Olocausto, trad. it. di M.Filippi, Editori Riuniti, Roma 2003, p. 112).

domenica 4 novembre 2012

Animal welfare: uccidere con gentilezza

Mattatoio

Animal welfare: uccidere con gentilezza
(rielaborazione dell'intervento di BioViolenza alla conferenza sul benessere animale, Salone del Gusto 2012)

Un punto di vista particolare?

Il Progetto BioViolenza è nato due anni fa, con l’intento di affrontare il tema degli allevamenti biologici, ecologicamente sostenibili, attenti allo spreco delle risorse e ai diritti dei lavoratori. Per questo, si può dire che ci interroghiamo da un po’ di tempo sul cosiddetto “benessere animale”, l’oggetto della conferenza di oggi[1]. Abbiamo chiesto quindi a Slow Food, che ha accettato, di venire qui a proporre alcune considerazioni. Il punto di vista da cui affrontiamo tale tema è un punto di vista particolare. O meglio: si tratta di un punto di vista che sembra particolare, ma che dovrebbe essere, secondo noi, quello principale. Dovrebbe essere normale far partire da qui ogni riflessione al riguardo. E’ un punto di vista che in questa conferenza è stato marginale, ma che è affiorato a tratti in più di una relazione. Si tratta del punto di vista degli animali allevati.
Il punto di vista degli animali è centrale anche soltanto per motivi quantitativi: gli animali sono gli attori più numerosi nei processi di produzione alimentare di cui parliamo oggi. Se guardiamo alle cifre, almeno 40 miliardi di non umani all’anno perdono la vita per fornire cibo agli umani. Una stima dei pesci uccisi nel mondo ci restituisce un numero ancora più impressionante[2]. Ma non si tratta solo di quantità, anzi: è il ruolo di questi attori che è centrale, dato che sono loro a fornire una serie di “oggetti” o di prestazioni per produrre cibo. In modo sommario, possiamo dire che forniscono i propri corpi, che diventano carne, e le proprie funzioni riproduttive, da cui traiamo diversi generi di prodotti (principalmente, uova, latte e latticini). E’ sugli animali, non a caso, che ricadono le scelte degli allevatori, dei veterinari, degli etologi, degli economisti, dei legislatori. Per noi, provare a considerare il loro punto di vista significa, da una parte, immedesimarci con loro, chiedendoci che cosa provino, quali siano i loro sentimenti, i loro bisogni, le loro esigenze; e questo è un tipo di sforzo che i presenti, allevatori e specialisti, non faticheranno a comprendere a partire dalla loro esperienza. D’altra parte, ci chiediamo come potrebbero considerare – gli animali non umani – i nostri discorsi sulle pratiche di allevamento, ed in particolare i nostri discorsi sul benessere animale. Questi dibattiti sono, infatti, dibattiti tutti umani, sviluppati fra umani e per umani.

Benessere animale: uno strano tipo di welfare

Il benessere animale può far pensare – anche come parola – al welfare umano. Il nome stesso – animal welfare – lo suggerisce. In particolare, viene in mente in qualche modo il welfare in ambito lavorativo, le questioni relative ai diritti dei lavoratori. Il welfare in questo caso è un’attività di regolamentazione della produzione e un discorso sulle attività produttive che presuppone che lavoratrici e lavoratori non siano semplici “strumenti”, ma individui dotati di esigenze proprie innegabili, esigenze spesso in conflitto con le esigenze produttive. Nonostante tutto, però, questa analogia lascia perplessi, ed il motivo è sostanzialmente uno. A differenza di quello umano, il welfare animale è un dispositivo di regolamentazione del lavoro i cui supposti beneficiari non sono stati consultati. Qualcuno dirà che questo avviene perché non è possibile consultarli, per limiti di specie e, in ultima analisi, di comunicazione. Gli allevatori che sono qui, ma anche gli specialisti che hanno parlato – etologi e veterinari – sanno bene che non è esattamente così, perché esiste la possibilità di ascoltare le loro esigenze, ovviamente. Noi pensiamo che, proprio per questo, la peculiarità del welfare animale derivi da un altro fatto. Il paragone non regge, in realtà, perché qui non si tratta di lavoro, ma di schiavitù. Certamente, una schiavitù intorno alla quale esiste una crescente compassione dell’opinione pubblica verso gli schiavi, ma pur sempre una schiavitù. E in effetti gli schiavi non vengono consultati.

Kill with kindness

Prima dei discorsi sul benessere, esiste comunque una serie di regole e di principi sanciti dalle istituzioni. Vorremmo analizzarle brevemente dalla prospettiva di un animale da allevamento. Parte della normativa sul benessere animale si rivela estranea a questa compassione timida ma crescente. L’agricoltura biologica, in particolare, prevede delle regole di certificazione che incrementano il benessere degli animali, ma – spesso dichiaratamente – per avvantaggiare la salute dei consumatori, la qualità dei prodotti, la sostenibilità ambientale[3]. Il vantaggio per gli animali è quasi sempre un fatto accidentale, una specie di effetto collaterale. Nei pochi casi in cui l’obiettivo dichiarato è la riduzione della sofferenza animale, ciò avviene nella misura in cui non si interferisce con le esigenze dei produttori e dei consumatori.
Diverso è il caso – oggi ampiamente illustrato – della protezione degli animali da reddito da parte di una serie di norme europee e di una serie di progetti locali che tendono ad incrementare il benessere animale a partire dalla considerazione dell’animale come essere senziente. Oggi, infatti, nessuno può più considerarsi a pieno titolo cartesiano: gli animali non sono più macchine, ma soggetti in grado di soffrire e gioire in modo analogo a noi (che, del resto, siamo animali). Per chi intrattiene – la maggioranza dei cittadini – una relazione con un animale “da compagnia”, un cane o un gatto per esempio, questa è ormai una banalità, entrata a tal punto nel vissuto dei membri della società umana che se ne è accorta persino l’Unione Europea. A tal proposito, l’art. 13 del Trattato di Lisbona, poco fa citato da Andrea Gavinelli (Commissione Europea), parla di “senzienti” [4]. E lo stesso relatore ha fatto riferimento alle “cinque libertà”, di cui abbiamo già avuto modo di parlare in passato[5].
La Direttiva 98/58 dice una cosa molto interessante: “nessun animale deve essere custodito in un allevamento se ciò nuoce alla sua salute o al suo benessere”[6]. Ancora, cerchiamo di interpretarla come se fossimo non gli allevatori, bensì gli allevati. Se mi dicessero che non devo essere privato della libertà, rinchiuso in una gabbia o in un recinto qualora nuocesse al mio benessere, penso che avrei le idee chiare al riguardo. Direi che non devo mai essere “custodito” in un allevamento. Essere recluso in un allevamento nuocerebbe sempre al mio benessere, è ovvio. A dirla tutta, mi farei anche qualche domanda su questa parola, “custodito”. “Custodire” richiama l’idea di protezione, di cura. Si tratta di elementi che pur possono esistere nell’allevamento, ma è chiaro che qui si intende un altro tipo di custodia, che a me ricorda piuttosto la pratica della custodia carceraria. Forse chiederei di essere un po’ più onesti e chiamarla semplicemente reclusione. Ma sulle vostre parole avrei vari appunti da fare. Poco fa, uno dei relatori[7] ha spiegato che il suo programma di introduzione del benessere animale in un piccolo allevamento brasiliano ha portato ad un calo della mortalità dei bovini da una percentuale (il 60%) ad un’altra (il 30%). Io penso invece che il tasso di mortalità sia costante, sempre intorno al 100%, dato che la fine di noi animali è sempre il macello. E a proposito, consentitemi di tornare sulla frase di cui sopra: “nessun animale deve essere custodito in un allevamento se ciò nuoce alla sua salute o al suo benessere”. Visto che si afferma di non voler nuocere alla mia salute, per non nuocere alla mia salute chiederei di non essere macellato. Non di essere macellato un po’ più tardi, o previo stordimento, o da qualche sostenitore della “morte dolce”[8], ma proprio di non essere mai portato al mattatoio.

Progetto BioViolenza
Al mattatoio sani e felici


[1] Il testo è una rielaborazione dell’intervento fatto dal Progetto BioViolenza al Salone del Gusto / Terra Madre 2012, durante la conferenza su “Benessere animale: una tutela anche per produttori e consumatori” (29 ottobre 2012, Torino)
[2] Le stime dei pesci uccisi sono di circa mille miliardi (http://fishcount.org.uk fornisce un criterio scientifico per il calcolo del numero degli individui pescati, che nei dati ufficiali sono espressi a peso).
[4] “Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell'Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti” (http://europa.eu/lisbon_treaty/full_text/index_it.htm).
[5] Cfr. “Cinque libertà: tanto rumore per nulla” (http://bioviolenza.blogspot.com/2012/08/cinque-liberta-tanto-rumore-per-nulla.html).
[7] Mateus Paranhos Da Costa, docente di etologia e benessere animale, Università di São Paulo – UNESP.
[8] L’espressione (kill with kindness) si riferisce a quanto sostenuto durante la sua relazione da Richard Haigh, Presidio Slow Food della pecora Zulu. Si noti che la traduzione proposta da Slow Food, “morte dolce”, contiene in sé un’ulteriore slittamente semantico, richiamando per il pubblico italiano il concetto di “eutanasia”.

lunedì 25 giugno 2012

Una visita a "Terra Madre": la capra



Tanti anni fa incontrai una capra: era la capra di Saba. Si erano parlati , la capra legata e il poeta, e il linguaggio universale del dolore per l'ingiustificabile costrizione aveva creato quella misteriosa solidarietà che rende tutti gli animali eguali. L'ho incontrata in altre sofferte occasioni e l'ultima volta risale a qualche giorno fa.

Durante la manifestazione allegra e colorata di Slow Food, Terra Madre, organizzata nel parco di Monza in una bella giornata di sole, lei era là. Dopo le lunghe file di ortaggi a Km zero, vini bio, giocattoli di legno non trattato e tutte le rigogliose offerte della natura e del territorio, eccola là in fondo. Qualcuno la rimestava nel pentolone, ridotta a pezzi, distribuita a prezzi "democratici" agli avventori ecocompatibili, tutti coscienziosi nel dividere i rifiuti, vetro carta organico, fieri della nuova moralità alternativa da trasmettere alla prole, se la gustavano ben bene, poca ma buona, bio allevata, fa bene alla salute e non inquina.

lunedì 30 maggio 2011

GEAPRESS:Primo resoconto della contestazione a Slow Fish 2011

alcuni attivisti simulano la morte dei pesci per soffocamento e schiacciamento nella rete

Slow fish – la manifestazione … contro

GEAPRESS – Imprigionati nelle reti da pesca, senza possibilità di scampo in una lunga agonia, così gli attivisti del Progetto “BioViolenza” hanno rappresentato davanti agli ingressi della Fiera di Genova, dove si tiene la kermesse Slow Fish, la loro denuncia verso le crudeltà inflitte agli abitanti dei mari....
....Un centinaio di animalisti e antispecisti provenienti anche da Milano, Brescia, Pisa, e Piemonte hanno così contestato quella che vuole essere l’evento dedicato alla pesca “sostenibile” legata all’organizzazione di Slow Food e sostenuta dalla regione Liguria. segue>>



i veri protagionisti della kermesse...morti!Genova: slow fish o slow death?


Kermesse sulla pesca "sostenibile": Carlo Petrini apre agli animalisti, ma negli stand solito macabro campionario.


GEAPRESS – Aperta oggi la quinta edizione di Slow Fish presso la Fiera di Genova, fino a lunedì 30 la manifestazione voluta da Slow Food ed enti locali liguri per promuovere la pesca non industriale ma legata alle tradizioni locali.

Gli animalisti di BioViolenza vogliono però mettere sotto i riflettori la sofferenza silenziosa degli abitanti dei mari, milioni di pesci, crostacei e molluschi vittime anche delle pesche tradizionali, oltretutto anche loro complici del depauperamento dei mari ormai accertato anche dagli organismi internazionali indipendenti. segue>>

(fonte GEAPRESS )

sabato 7 maggio 2011

8/5 Genova ore 11. Volantinaggio antiacquario

volantinaggio : no all'acquario
Genovesi o circondario, villeggianti della domenica e volontari, per un'ora vi aspettiamo per dire NO davanti alla prigione per pesci e pinguini!!!

RESOCONTO: dunque che dire ? eravamo pochi ma buoni . Il volantinaggio ha mandato in stato di allarme i vigilantes che hanno chiamato i carabinieri per farci allontanare dalle casse ( pare che l'area antistante la PRIGIONE sia di un privato e quindi l'ente acquario ha vietato il volantinaggio di OGNI genere sul SUO territorio.
Ovviamente la cosa non ci ha scomposti e abbiamo volantinato a pochi metri dalle casse OLTRE il confine di stato. Sono stati fatti dei minicomizi. Altri con i loro cartelli chiedevano ai passanti che senso aveva pagare per vedere dei pupazzi schiavi. Insomma si son ben accorti della nostra presenza e il pubblico ha dato parecchi consensi ( specie quelli che uscivano).