Da un po' di tempo, vanno di moda le iniziative che propongono prodotti tipici, a "filiera corta" o a km zero, e - soprattutto - biologici. E va di moda accostare, a tali iniziative, la parola "etica". Prodotti "sostenibili", sensibilità etica, "rispetto"...
Quante volte, però, dietro a queste parole - tanto altisonanti quanto generiche - si cela la vendita di prodotti della sofferenza animale?

Quante volte si tratta di un pretesto per occultare un massacro generalizzato ricordando che lo sfruttamento può essere "sostenibile"?
Ma sopratutto: lo sfruttamento può mai essere sostenibile?
Pubblichiamo la lettera di un'attivista che ha scritto ad una delle tante feste "etiche", la Bio-festa di Polpenazze (BS).