Contestatori o supporter dello sfruttamento "etico"?
Ci chiediamo per
l'ennesima volta come sia possibile che degli animalisti (o presunti tali)
possano aver partecipato ad
una iniziativa promossa a quattro mani dalla Facoltà di Veterinaria di
Milano (precisamente un Dipartimento di produzione animale!) e Minding Animals
(associazione internazionale che si occupa di Animal Studies) nella speranza di
influenzare positivamente i futuri addetti alla detenzione, proliferazione,
crescita e morte degli animali "da reddito" (qui il link del programma
del corso).
Se anche possiamo essere d'accordo che un
allevamento biologico sia meglio di uno intensivo, ci chiediamo se sia questo
ciò che speriamo e vogliamo per gli animali. Sono forse le "fattorie
felici" che scardineranno il paradigma antropocentrico? È attraverso
questa nuova modalità (peraltro assolutamente impossibile da sviluppare per il
largo consumo) che vogliamo indicare una direzione? Pensiamo sia possibile che
studenti di veterinaria (interessati ad approfondire proprio questo tema)
cambino mestiere perché ascoltano qualcuno che gli dice che gli animali non
devono essere uccisi? Possiamo renderci complici di questo sofisticato modo (il
bio, la sostenibilità, il benessere animale) di acquietare le coscienze di
consumatori e addetti ai lavori? Come possiamo collaborare con gli
"addetti ai lavori"? Pensiamo che allevatori e veterinari siano così ingenui
da non essersi mai incrociati con un pensiero altro e che aspettino le nostre
conferenzine per andare in crisi?