da Global Project
Pubblichiamo di seguito un testo scritto da
una compagna del centro sociale Bruno di Trento che, attraverso gli strumenti di lettura
dell'antispecismo, pone una riflessione in merito alle capre appartenute ad
Agitu Ideo Gudeta. Questo testo vuole portare un punto di vista diverso e contemporaneamente
stimolare un dibattito sui temi dinnanzi ai quali ci pone l'antispecismo.
Nell’Italia sessista e razzista dei giorni nostri, dove una
donna in quanto donna viene uccisa con metodica regolarità una volta ogni tre
giorni, e dove le morti nel Mediterraneo dellə disperatə in fuga da guerra e
povertà nemmeno vengono più conteggiate, capita talvolta che un particolare
fatto di cronaca riesca in breve tempo a tracimare dalla stampa locale e a
scalare la classifica delle notizie tanto da diventare virale su tutti i mezzi
di comunicazione, travalicando anche i confini nazionali. Che si tratti di
razzismo o di sessismo poco importa, ci sono sempre “vittime ideali”, quelle
della cui morte violenta i media si impegnano a raccontare ogni dettaglio, con
inquietante dovizia di particolari e sulle quali l’opinione pubblica del “bar
sport-Italia” ha sempre qualcosa da commentare.
L’orrendo femminicidio di cui è stata vittima Agitu Ideo
Gudeta è diventato nel giro di poche ore uno di questi casi, e così stampa, TV
e in particolare certi bassifondi dei social network si sono sperticati in ogni
genere di sproloqui e narrazioni tossiche a 360 gradi. Da un lato le più becere
narrazioni razziste dove, una volta identificato il responsabile, non si è
esitato a esprimersi rispetto all’omicida nei termini di “bestia ghanese” o a
gongolare del fatto che quello che in un primo momento si sospettava essere un
delitto di matrice razziale era invece una storia di “africani che si ammazzano
tra loro”. Dall’altro una narrazione più sottilmente
razzista, ovvero quella dell’elogio a reti unificate della memoria del deserving migrant[1]
in opposizione alla condanna unanime dell'(altro)immigrato - da subito
identificato come “clandestino” - evidentemente colpevole di non essere
riuscito “ad integrarsi” quel tanto che basta ad allontanarsi dagli “incivili
usi e costumi” tipici del suo
continente di origine.
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