Tanti
anni fa incontrai una capra: era la capra di Saba. Si erano parlati , la capra
legata e il poeta, e il linguaggio universale del dolore per
l'ingiustificabile costrizione aveva creato quella misteriosa solidarietà che
rende tutti gli animali eguali. L'ho incontrata in altre sofferte
occasioni e l'ultima volta risale a qualche giorno fa.
Durante la manifestazione allegra e colorata di Slow Food, Terra Madre, organizzata nel parco di Monza in una bella giornata di sole, lei era là. Dopo le lunghe file di ortaggi a Km zero, vini bio, giocattoli di legno non trattato e tutte le rigogliose offerte della natura e del territorio, eccola là in fondo. Qualcuno la rimestava nel pentolone, ridotta a pezzi, distribuita a prezzi "democratici" agli avventori ecocompatibili, tutti coscienziosi nel dividere i rifiuti, vetro carta organico, fieri della nuova moralità alternativa da trasmettere alla prole, se la gustavano ben bene, poca ma buona, bio allevata, fa bene alla salute e non inquina.
La capra, come la capra di Saba, piangeva ma nessuno l'ascoltava. Il branco di incapaci di intendere le grida innocenti, non poteva udire il belato proveniente dai piatti insanguinati.
Si
credevano e si credono i demiurghi di un mondo in cui tentano
disperatamente di trovare un equilibrio, senza neppure avere un' idea vaga
di giustizia. Si riempiono la bocca di tanti paroloni, fra un boccone
e l'altro, equosolidarità, diritti dei lavoratori, benessere
animale, ecosostenibilità, e tutto quanto determina l'agognato
rovesciamento delle abitudini, che però nasce dalla stessa causa che
affolla i macelli: la mania di regolare la vita e la morte secondo l'illusione
della centralità delle umane necessità, perlopiù triviali.
Slow delirio! Slow violenza!