Nel 2009, l’"ILAR Journal" (la rivista dell' Institute of Laboratory Research), in un numero dedicato alla sofferenza dei pesci, prende in esame le “Cinque Libertà” fondamentali per il benessere degli animali da allevamento. A noi e a molti come noi, quando pensiamo agli animali “da reddito”, viene istintivamente da sognare – per loro - la libertà. Una sola libertà: ci sembra già così tanto da costituire una rivoluzione. E invece apprendiamo che una rivista che rappresenta la voce di un gruppo schierato a difesa dello sfruttamento animale non auspica una sola libertà per gli animali, ma addirittura… cinque. Non potevamo non incuriosirci. Vediamo dunque queste cinque libertà.
"Nel dicembre 1979 la United Kingdom's Farm Animal Welfare Council (http://www.fawc.org.uk/) ha identificato le condizioni idonee (le "Cinque Libertà”) per gli animali da allevamento (bestiame, maiali, ovini e polli): 1) libertà dalla sete, dalla fame o dalla malnutrizione; 2) libertà dal disagio (per es., rifugio appropriato); 3) libertà dalle ferite e dalle malattie (cioè prevenzione o diagnosi precoce e cura); 4) libertà di manifestare i principali comportamenti normali; e 5) libertà dalla paura. La dichiarazione definisce le regole riguardanti un corretto funzionamento biologico (in relazione a sete, fame, rifugio, ferite e malattie) e quindi stabilisce i criteri fondamentali del benessere minimo degli animali in cattività; ma le definizioni di benessere, di comportamento normale, di riconoscimento e fuga dalla paura negli animali in cattività non sono centrali in questa relazione. La definizione dei criteri per il benessere emotivo saranno quindi il prossimo, imprescindibile, passo.
Il FAWC ha anche riconosciuto la necessità di ulteriori studi sui bisogni psicologici e comportamentali degli animali da allevamento e sull'etica animale" [1].
Si noti come, in questa sorta di elenco dei “diritti fondamentali” degli schiavi animali, manchi il diritto alla vita. Viene contemplato, apparentemente, il diritto ad una vita degna di essere vissuta. Questo, però, soltanto fino al momento in cui questa vita degna di essere vissuta non sia degna di essere violata… per produrre cibo.
In realtà, se presi alla lettera, tali principi non possono che condurre all’abolizione di tutti gli allevamenti, e – conseguentemente – dei macelli. Non è possibile, infatti, allevare degli animali a fini produttivi (cioè a fini di lucro) senza fare violenza ai loro desideri, alla loro capacità di gioire e soffrire, di intrattenere relazioni sociali, e così via. Per esempio, quale potrà mai essere un rifugio appropriato per un animale che, in libertà, è portato a percorrere ogni giorni svariati chilometri? E quali mai saranno i “comportamenti normali” manifestabili da un prigioniero?
Se non sapessimo che istituzioni come il FAWC hanno – anche – la funzione di rassicurarci sulla drammaticità della schiavitù animale, potremmo pensare che in fondo stanno cercando di arrivare passo passo alla liberazione degli schiavi. Se non sapessimo che sono costituite da bizzarri consessi di allevatori, zootecnici, veterinari, animalisti protezionisti potremmo pensare che la loro tendenza a cancellare dalla narrazione della “storia” degli animali da reddito proprio il gran finale (il macello) sia un estremo atto di delicatezza verso la sensibilità dei consumatori. Se non sapessimo che il concetto di benessere sa di fregatura, potremmo pensare che sia meglio che niente.
Ma, in realtà, non si scappa dalla questione centrale: parlare di tante singole libertà non è altro che un modo per non parlare della libertà.
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"Nel dicembre 1979 la United Kingdom's Farm Animal Welfare Council (http://www.fawc.org.uk/) ha identificato le condizioni idonee (le "Cinque Libertà”) per gli animali da allevamento (bestiame, maiali, ovini e polli): 1) libertà dalla sete, dalla fame o dalla malnutrizione; 2) libertà dal disagio (per es., rifugio appropriato); 3) libertà dalle ferite e dalle malattie (cioè prevenzione o diagnosi precoce e cura); 4) libertà di manifestare i principali comportamenti normali; e 5) libertà dalla paura. La dichiarazione definisce le regole riguardanti un corretto funzionamento biologico (in relazione a sete, fame, rifugio, ferite e malattie) e quindi stabilisce i criteri fondamentali del benessere minimo degli animali in cattività; ma le definizioni di benessere, di comportamento normale, di riconoscimento e fuga dalla paura negli animali in cattività non sono centrali in questa relazione. La definizione dei criteri per il benessere emotivo saranno quindi il prossimo, imprescindibile, passo.
Il FAWC ha anche riconosciuto la necessità di ulteriori studi sui bisogni psicologici e comportamentali degli animali da allevamento e sull'etica animale" [1].
Si noti come, in questa sorta di elenco dei “diritti fondamentali” degli schiavi animali, manchi il diritto alla vita. Viene contemplato, apparentemente, il diritto ad una vita degna di essere vissuta. Questo, però, soltanto fino al momento in cui questa vita degna di essere vissuta non sia degna di essere violata… per produrre cibo.
In realtà, se presi alla lettera, tali principi non possono che condurre all’abolizione di tutti gli allevamenti, e – conseguentemente – dei macelli. Non è possibile, infatti, allevare degli animali a fini produttivi (cioè a fini di lucro) senza fare violenza ai loro desideri, alla loro capacità di gioire e soffrire, di intrattenere relazioni sociali, e così via. Per esempio, quale potrà mai essere un rifugio appropriato per un animale che, in libertà, è portato a percorrere ogni giorni svariati chilometri? E quali mai saranno i “comportamenti normali” manifestabili da un prigioniero?
Se non sapessimo che istituzioni come il FAWC hanno – anche – la funzione di rassicurarci sulla drammaticità della schiavitù animale, potremmo pensare che in fondo stanno cercando di arrivare passo passo alla liberazione degli schiavi. Se non sapessimo che sono costituite da bizzarri consessi di allevatori, zootecnici, veterinari, animalisti protezionisti potremmo pensare che la loro tendenza a cancellare dalla narrazione della “storia” degli animali da reddito proprio il gran finale (il macello) sia un estremo atto di delicatezza verso la sensibilità dei consumatori. Se non sapessimo che il concetto di benessere sa di fregatura, potremmo pensare che sia meglio che niente.
Ma, in realtà, non si scappa dalla questione centrale: parlare di tante singole libertà non è altro che un modo per non parlare della libertà.
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[1] Gilson L. Volpato, Challenges in Assessing Fish Welfare, "ILAR Journal", vol. 50, n. 4, 2009, p. 329 (traduzione a cura di BioViolenza): http://dels-old.nas.edu/ilar_n/ilarjournal/50_4/html/v5004Volpato.shtml. La dichiarazione del FAWC sulle cinque libertà è disponibile qui: http://www.fawc.org.uk/freedoms.htm.