"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

domenica 10 gennaio 2016

La "Legge di Murphy"

La “Legge di Murphy”

(ovvero come soffocare in un abbraccio ecumenico il dibattito che non c’è)

Un allevamento di tacchini che produce per il gruppo Amadori,
cui CIWF ha conferito il Premio "Good Chicken"

Recentemente, sul blog di Essere Animali è stato pubblicato un articolo a firma di Claudio Pomo (Responsabile delle campagne di EA) che ci ha fatto sobbalzare davanti al computer.
L’articolo, “Speriamo solo che continuino a litigare” (31 ottobre 2015) http://blog.essereanimali.org/speriamo-continuino-a-litigare/, ad una prima, superficiale lettura, può sembrare una riflessione di buon senso comune: le differenze interne al movimento sono così irrilevanti davanti alla tragedia animale che è inutile, anzi dannoso, perdere tempo in guerre fratricide. Frase talmente ovvia che non sembrerebbe neppure necessitare di altro. Chi, infatti, non sarebbe d’accordo sul fatto che dissidi personali, inimicizie e diffidenze tra gruppi, modalità diverse di concepire la lotta per gli animali siano ben poca e povera cosa davanti all’obiettivo comune, gigantesco, fin quasi impensabile che tutti vorremmo raggiungere o realizzare?

Ma a rileggere il post, ci si accorge che il punto è ben altro e non può essere lasciato indiscusso.



L’intervento sul blog di EA ci offre lo spunto per tentare un’analisi di un modo di pensare che ultimamente ci appare abbastanza diffuso. Modo di pensare delle cui conseguenze non sembra esserci piena consapevolezza, o perlomeno così a noi pare.

In sintesi la tesi è:

- All’americano Murphy, portavoce di allevatori e consumatori di carne, rappresentante del “nemico” per eccellenza, non interessa che abbiano ragione gli attivisti liberazionisti o i welfaristi, l’importante è che continuiamo a litigare.
- Siccome Murphy è un esperto professionista, pagato per ostacolare il lavoro di animalisti, vegani, ecologisti, protezionisti, riduzionisti, salutisti, ecc, dobbiamo ascoltarlo attentamente.
- Siccome la lotta intestina del movimento (ma quale movimento? e perché un abolizionista si dovrebbe collocare nello stesso movimento di un salutista? - “Lo dice Murphy” non è certo un buon motivo...) è fonte di sollievo per gli allevatori (così dice sempre il signor Murphy), allora si deduce (qui non si capisce se parla Murphy o Pomo) che il tempo e le energie che perdiamo in diatribe interne siano un ostacolo ai nostri fini.
- Più avanti si ammette che quando si parla di allevamenti e macelli la divisione è forte: da una parte ci sono i welfaristi, gli animalisti sui generis, i difensori della “carne felice”, dall’altra, in una parola e pur con tutte le rispettive differenze, ci starebbero gli antispecisti.
- Siccome Murphy pensa che la Humane Society of the United States sia un gruppo di vegani liberazionisti cammuffati da blandi welfaristi e riformatori (ha capito, insomma, quello che noialtri siamo restii a capire e cioè che avremmo tutti lo stesso fine ma che tentiamo di raggiungerlo con modi diversi), che insegnamento dobbiamo trarne?
- La deduzione è che anche chi sembra lontano, addirittura chi reputiamo un “traditore”, “sta facendo qualcosa di buono” (purché lo faccia onestamente e con passione) - sic!
- Pomo chiarisce che lui non ama i piccoli passi ma, non sapendo quale sia la strategia migliore che salverà più animali, non combatterà le altre posizioni (speriamo non si stiano mettendo le mani avanti in vista di qualche collaborazione imbarazzante con Slowfood o CIWF-Compassion in World Farming!)
- L’unica cosa di cui l’autore è certo è che non sarà l’1% di vegani antispecisti che potrà mettere in ginocchio il potente nemico. L’attacco all’industria della carne deve quindi venire da tanti fronti e in modi diversi (e qui ci chiediamo come mai si preferisca rimanere a fare attivismo tra l’1% super minoritario e non ci si trasferisca a militare tra i salutisti che oggi fanno molti più vegani dell’antispecismo…)
- In conclusione: se ognuno credesse nella sua strategia e la mettesse in pratica e non “perdesse tempo” (sic!) a criticare chi fa diversamente, non toglierebbe tempo alle cose importanti: cioè “mettere in pratica ciò che si predica”.
- Morale del post: smettetela di rompere le scatole. Ognuno per conto suo! Basta con le fregnacce che, l’ha detto Murphy, son dannose. Diamoci sotto e… chi vivrà vedrà.

Vorremmo porre alcune domande all’autore del post e a chi ne condivide la posizione:

Se il signor Murphy avesse detto: “fiuuu, meno male che molte associazioni che se la cacciano da animaliste in verità ci aiutano a far finta di riconvertire gli allevamenti intensivi in allevamenti sostenibili”, cosa avreste dedotto?

Dove mettiamo (noi e il signor Murphy) il limite nell’omogeneizzare le differenze?
Sono accettabili dentro al vasto panorama del “movimento” realtà come Slowfood e Compassion In World Farming? E’ accettabile che chi dà premi di “buona produzione” a McDonald’s, Burger King, Amadori, Knorr, Unilever, Coca Cola, KFC, ecc. possa essere considerato “dei nostri”?

Perché, sempre seguendo il “ragionamento” di Pomo, se non dobbiamo generare utilità al nemico, possiamo invece accettare tra “i nostri” chi gli riconosce premi? (vedi sopra CIWF che di certo genera utilità per il nemico, lo elogia e gli fa pubblicità ripulendone l’immagine)
E, in effetti, è preoccupante che questo discorso assomigli molto alle risposte preconfezionate che la stessa CIWF (un’associazione fondata da un allevatore) fornisce a chi la critica da un punto di vista antispecista.

Se il passaggio da uno specismo radicale ad uno moderato (per intenderci la logica dei piccoli passi) fosse conseguenza di scelte istituzionali imposte dalla battaglia antispecista portata avanti senza ambiguità, questo passaggio sarebbe l’inevitabile e lunghissimo periodo intermedio verso la liberazione animale. Ma pensare che ad alimentare questa logica sia un raggruppamento interno al movimento antispecista mette i brividi.
Perché si confondono le richieste che dovrebbe fare il movimento con le risposte, inevitabilmente intermedie, della società e delle istituzioni?

Perché mai un liberazionista e un fruttariano, anche se il signor Murphy pensa giustamente che siano entrambi contro la carne (ed è contento se litigano tra loro), dovrebbero stare nello stesso movimento?

Da quando un movimento serio si fa dettare l’agenda dal suo principale nemico? (Non è che magari Murphy è più intelligente di quello che lo pensiamo, e ha tutto l’interesse a suggerire “involontariamente” che il “movimento” la smetta di discutere e continui ad andare avanti a spanne e con le fette di seitan sugli occhi?)
Chissà mai che a furia di “litigare” e discutere prima o poi riusciremmo a diventare un po’ più forti e credibili?

E quali consideriamo le vittorie?
Cosa vuol dire “salvare più animali”?
Salvare metà dei 50 miliardi di animali annui? (numero sempre in aumento nonostante l’aumento dei vegani, vegetariani, intolleranti, riduzionisti, fruttariani). In quanti anni?
Allargare le gabbie a tutti i 50 miliardi?
Avere tutti gli animali allevati bio?
Ridurre il consumo procapite? Di quanto?
Come affrontare l’aumentata richiesta di carne nel mondo?
Se aumentano i carnivori nel mondo (come sta avvenendo), potremmo considerare una vittoria restare a quota 50 miliardi di animali all’anno?
E’ meglio avere un antispecist* in più o 10 vegan in più?
Quanti animali salva un vegan*?

Queste domande sono, ovviamente, provocatorie. Dimostrano solo l’assurdità di pensare in base a presunte vittorie e sconfitte basandosi su ipotetici processi storici e su dati totalmente fluidi e che esulano dalle nostre possibilità di controllo.
La vera differenza epocale, sostanziale, la potrebbe fare solo un modo nuovo di concepire le relazioni tra noi e con gli altri animali. Un modo che presuppone l’antispecismo. I salutisti potranno contribuire ad aumentare un po’ il numero dei vegani; i welfaristi miglioreranno un pochettissimo il benessere animale; ma solo il pensiero antispecista può cercare di infiltrare nella cultura dominante un cuneo che permetta in futuro (anche se forse molto lontano) la totale liberazione dalla schiavitù. Non si cambiano radicalmente una prassi e un pensiero limando gli spigoli e strizzando l’occhio al pensiero che si vuol cambiare. In questo percorso “animalista” chi sembra andare nella stessa direzione non è detto che sia un alleato, anzi, potrebbe essere una presenza pericolosa perché, volontariamente o involontariamente, potrebbe fare rallentare il passo o sbagliare strada.
E, allora, perché tenercelo tra i piedi? Perché lo dice il signor Murphy???

Questo giovane movimento, ancora traballante e per nulla unito neppure nel fine lontano, perché mai dovrebbe rinunciare all’unica cosa utile, anzi indispensabile, che dovrebbe fare? (Cioè sviscerare e raffinare idee, concetti, prassi, desideri,…). Non potrebbe essere che da un vivace, schietto, onesto dibattito interno (cosa che in pochissimi sono disposti a fare) potrebbe emergere una posizione collettiva e conflittuale più forte?

È vero che non sappiamo con certezza quale sia la strategia migliore; questo è da tenere presente perché il dibattito non diventi una rissa continua, ma non può diventare una scusa per affossare qualunque discussione in nome del “fare”.

Temiamo che, andando ognuno avanti per la sua strada senza perder altro tempo (senza confrontarci e litigare che altrimenti accontentiamo il nemico) le nostre inquietudini non avranno, purtroppo, risposte.

BioViolenza  - bioviolenza.blogspot.it