La “Legge di Murphy”
(ovvero
come soffocare in un abbraccio ecumenico il dibattito che non c’è)
Un allevamento di tacchini che produce per il gruppo Amadori, cui CIWF ha conferito il Premio "Good Chicken" |
Recentemente,
sul blog di Essere Animali è stato pubblicato un articolo a firma di
Claudio Pomo (Responsabile delle campagne di EA) che ci ha fatto
sobbalzare davanti al computer.
L’articolo,
“Speriamo solo che continuino a litigare” (31 ottobre 2015)
http://blog.essereanimali.org/speriamo-continuino-a-litigare/,
ad una prima, superficiale lettura, può sembrare una riflessione di
buon senso comune: le differenze interne al movimento sono così
irrilevanti davanti alla tragedia animale che è inutile, anzi
dannoso, perdere tempo in guerre fratricide. Frase talmente ovvia che
non sembrerebbe neppure necessitare di altro. Chi, infatti, non
sarebbe d’accordo sul fatto che dissidi personali, inimicizie e
diffidenze tra gruppi, modalità diverse di concepire la lotta per
gli animali siano ben poca e povera cosa davanti all’obiettivo
comune, gigantesco, fin quasi impensabile che tutti vorremmo
raggiungere o realizzare?
Ma
a rileggere il post, ci si accorge che il punto è ben altro e non
può essere lasciato indiscusso.
L’intervento
sul blog di EA ci offre lo spunto per tentare un’analisi di un modo
di pensare che ultimamente ci appare abbastanza diffuso. Modo di
pensare delle cui conseguenze non sembra esserci piena
consapevolezza, o perlomeno così a noi pare.
In
sintesi la tesi è:
-
All’americano Murphy, portavoce di allevatori e consumatori di
carne, rappresentante del “nemico” per eccellenza, non interessa
che abbiano ragione gli attivisti liberazionisti o i welfaristi,
l’importante è che continuiamo a litigare.
-
Siccome Murphy è un esperto professionista, pagato per ostacolare il
lavoro di animalisti, vegani, ecologisti, protezionisti,
riduzionisti, salutisti, ecc, dobbiamo ascoltarlo attentamente.
-
Siccome la lotta intestina del movimento (ma quale movimento? e
perché un abolizionista si dovrebbe collocare nello stesso movimento
di un salutista? - “Lo dice Murphy” non è certo un buon
motivo...) è fonte di sollievo per gli allevatori (così dice sempre
il signor Murphy), allora si deduce (qui non si capisce se parla
Murphy o Pomo) che il tempo e le energie che perdiamo in diatribe
interne siano un ostacolo ai nostri fini.
-
Più avanti si ammette che quando si parla di allevamenti e macelli
la divisione è forte: da una parte ci sono i welfaristi, gli
animalisti sui generis, i difensori della “carne felice”,
dall’altra, in una parola e pur con tutte le rispettive differenze,
ci starebbero gli antispecisti.
-
Siccome Murphy pensa che la Humane Society of the United States sia
un gruppo di vegani liberazionisti cammuffati da blandi welfaristi e
riformatori (ha capito, insomma, quello che noialtri siamo restii a
capire e cioè che avremmo tutti lo stesso fine ma che tentiamo di
raggiungerlo con modi diversi), che insegnamento dobbiamo trarne?
-
La deduzione è che anche chi sembra lontano, addirittura chi
reputiamo un “traditore”, “sta facendo qualcosa di buono”
(purché lo faccia onestamente e con passione) - sic!
-
Pomo chiarisce che lui non ama i piccoli passi ma, non sapendo quale
sia la strategia migliore che salverà più animali, non combatterà
le altre posizioni (speriamo non si stiano mettendo le mani avanti in
vista di qualche collaborazione imbarazzante con Slowfood
o CIWF-Compassion
in World Farming!)
-
L’unica cosa di cui l’autore è certo è che non sarà l’1% di
vegani antispecisti che potrà mettere in ginocchio il potente
nemico. L’attacco all’industria della carne deve quindi venire da
tanti fronti e in modi diversi (e qui ci chiediamo come mai si
preferisca rimanere a fare attivismo tra l’1% super minoritario e
non ci si trasferisca a militare tra i salutisti che oggi fanno molti
più vegani dell’antispecismo…)
-
In conclusione: se ognuno credesse nella sua strategia e la mettesse
in pratica e non “perdesse tempo” (sic!) a criticare chi fa
diversamente, non toglierebbe tempo alle cose importanti: cioè
“mettere in pratica ciò che si predica”.
-
Morale del post: smettetela di rompere le scatole. Ognuno per conto
suo! Basta con le fregnacce che, l’ha detto Murphy, son dannose.
Diamoci sotto e… chi vivrà vedrà.
Vorremmo
porre alcune domande all’autore del post e a chi ne condivide la
posizione:
Se
il signor Murphy avesse detto: “fiuuu, meno male che molte
associazioni che se la cacciano da animaliste in verità ci aiutano a
far finta di riconvertire gli allevamenti intensivi in allevamenti
sostenibili”, cosa avreste dedotto?
Dove
mettiamo (noi e il signor Murphy) il limite nell’omogeneizzare le
differenze?
Sono
accettabili dentro al vasto panorama del “movimento” realtà come
Slowfood e Compassion In World Farming? E’ accettabile che chi dà
premi di “buona produzione” a McDonald’s, Burger King, Amadori,
Knorr, Unilever, Coca Cola, KFC, ecc. possa essere considerato “dei
nostri”?
Perché,
sempre seguendo il “ragionamento” di Pomo, se non dobbiamo
generare utilità al nemico, possiamo invece accettare tra “i
nostri” chi gli riconosce premi? (vedi sopra CIWF che di certo
genera utilità per il nemico, lo elogia e gli fa pubblicità
ripulendone l’immagine)
E,
in effetti, è preoccupante che questo discorso assomigli molto alle
risposte
preconfezionate che la stessa CIWF (un’associazione
fondata da un allevatore) fornisce a chi la critica da un punto di
vista antispecista.
Se
il passaggio da uno specismo radicale ad uno moderato (per intenderci
la logica dei piccoli passi) fosse conseguenza di scelte
istituzionali
imposte dalla battaglia antispecista portata avanti senza ambiguità,
questo passaggio sarebbe l’inevitabile e lunghissimo periodo
intermedio verso la liberazione animale. Ma pensare che ad alimentare
questa logica sia un raggruppamento interno al movimento antispecista
mette i brividi.
Perché
si confondono le richieste che dovrebbe fare il movimento con le
risposte, inevitabilmente intermedie, della società e delle
istituzioni?
Perché
mai un liberazionista e un fruttariano, anche se il signor Murphy
pensa giustamente che siano entrambi contro la carne (ed è contento
se litigano tra loro), dovrebbero stare nello stesso movimento?
Da
quando un movimento serio si fa dettare l’agenda dal suo principale
nemico? (Non è che magari Murphy è più intelligente di quello che
lo pensiamo, e ha tutto l’interesse a suggerire “involontariamente”
che il “movimento” la smetta di discutere e continui ad andare
avanti a spanne e con le fette di seitan sugli occhi?)
Chissà
mai che a furia di “litigare” e discutere prima o poi riusciremmo
a diventare un po’ più forti e credibili?
E
quali consideriamo le vittorie?
Cosa
vuol dire “salvare più animali”?
Salvare
metà dei 50 miliardi di animali annui? (numero sempre in aumento
nonostante l’aumento dei vegani, vegetariani, intolleranti,
riduzionisti, fruttariani). In quanti anni?
Allargare
le gabbie a tutti i 50 miliardi?
Avere
tutti gli animali allevati bio?
Ridurre
il consumo procapite? Di quanto?
Come
affrontare l’aumentata richiesta di carne nel mondo?
Se
aumentano i carnivori nel mondo (come sta avvenendo), potremmo
considerare una vittoria restare a quota 50 miliardi di animali
all’anno?
E’
meglio avere un antispecist* in più o 10 vegan in più?
Quanti
animali salva un vegan*?
Queste
domande sono, ovviamente, provocatorie. Dimostrano solo l’assurdità
di pensare in base a presunte vittorie e sconfitte basandosi su
ipotetici processi storici e su dati totalmente fluidi e che esulano
dalle nostre possibilità di controllo.
La
vera differenza epocale, sostanziale, la potrebbe fare solo un modo
nuovo di concepire le relazioni tra noi e con gli altri animali. Un
modo che presuppone l’antispecismo. I salutisti potranno
contribuire ad aumentare un po’ il numero dei vegani; i welfaristi
miglioreranno un pochettissimo il benessere animale; ma solo il
pensiero antispecista può cercare di infiltrare nella cultura
dominante un cuneo che permetta in futuro (anche se forse molto
lontano) la totale liberazione dalla schiavitù. Non si cambiano
radicalmente una prassi e un pensiero limando gli spigoli e
strizzando l’occhio al pensiero che si vuol cambiare. In questo
percorso “animalista” chi sembra andare nella stessa direzione
non è detto che sia un alleato, anzi, potrebbe essere una presenza
pericolosa perché, volontariamente o involontariamente, potrebbe
fare rallentare il passo o sbagliare strada.
E,
allora, perché tenercelo tra i piedi? Perché lo dice il signor
Murphy???
Questo
giovane movimento, ancora traballante e per nulla unito neppure nel
fine lontano, perché mai dovrebbe rinunciare all’unica cosa utile,
anzi indispensabile, che dovrebbe fare? (Cioè sviscerare e raffinare
idee, concetti, prassi, desideri,…). Non potrebbe essere che da un
vivace, schietto, onesto dibattito interno (cosa che in pochissimi
sono disposti a fare) potrebbe emergere una posizione collettiva e
conflittuale più forte?
È
vero che non sappiamo con certezza quale sia la strategia migliore;
questo è da tenere presente perché il dibattito non diventi una
rissa continua, ma non può diventare una scusa per affossare
qualunque discussione in nome del “fare”.
Temiamo
che, andando ognuno avanti per la sua strada senza perder altro tempo
(senza confrontarci e litigare che altrimenti accontentiamo il
nemico) le nostre inquietudini non avranno, purtroppo, risposte.
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