Come utilizzare la retorica del multiculturalismo, delle differenti culture, dell'incontro fra usi e costumi diversi per rinforzare la visione antropocentrica per cui gli animali, in definitiva, sono cibo a disposizione del nostro palato. Un palato magari in cerca di prelibatezze esotiche.
Come annuncia Repubblica.it in un articolo pubblicato sul sito, durante i 6 mesi di Expo, a Milano, si troveranno "coccodrillo, pesce palla, vino di serpente e maialetto sardo". Anche le blande limitazioni che riguardano le specie protette, in parte cadono, insieme alle norme ordinarie sulla sicurezza nei cantieri, sulle infiltrazioni mafiose, sui diritti dei lavoratori/trici; insomma, insieme a tutto quello che intralcia un evento così straordinario da necessitare di regole straordinarie.
Ma ben più della disinvoltura con cui ci si sbarazza dei già di per sè ipocriti "paletti" posti dalle leggi umane alla violenza sugli animali, colpisce l'utilizzo della retorica delle cucine esotiche, una retorica che sfrutta senza remore il carattere internazionale di Expo per ricordare che, anche se le modalità di sfruttamento o le specie usate come cibo variano da cultura a cultura, gli animali sono comunque oggetti.
Anzi, il fatto che possa esserci chi si schiera dalla loro parte non può che essere oggetto di scherno, come nel caso dell'articolo citato.
Citiamo testualmente: "La notizia è la fine dell'embargo del
maialetto sardo, dopo tre anni e cinque mesi di blocco sull'isola, con
conseguente festa della Coldiretti all'aeroporto di Cagliari, in attesa
che spunti un'associazione a difesa della bestia per rappresentare la
parte lesa."
"Bestia". Il corsivo è nostro, il disprezzo per gli animali è tutto di Expo.