"I campi di lavoro forzati non sono poi cosi' male. Ce ne hanno fatto visitare uno al corso di addestramento di base. Ci sono le docce, e letti con i materassi, e attività ricreative come la pallavolo. Attività artistiche. Si possono coltivare hobby come l'artigianato, ha presente? Per esempio, fare candele. A mano. E i familiari possono mandare pacchi, e una volta al mese loro o gli amici possono venire a trovarla - Aggiunse: - E si può professare la propria fede nella propria chiesa preferita.
Jason disse, sardonico: - La mia chiesa preferita è il mondo libero, all'aperto." (Philip K. Dick)

giovedì 20 giugno 2019

Senza piume, senza corna, senza senso: le nuove frontiere della carne felice



mucca nanaIl paradigma della carne felice, che ha visto la sua massima diffusione nell’ultimo decennio, nasce per rassicurare il disagio di quanti, di fronte all’esistenza degli allevamenti intensivi, si interrogano sull’eticità di sottoporre altri esseri senzienti a terribili condizioni di reclusione e sfruttamento e sulla sostenibilità ecologica di queste strutture.
La bio-violenza della prima ora ha risposto a queste critiche proponendo dei modelli di produzione bucolici, che evocassero la tradizione e un passato idealizzato. I simboli di questa narrativa sono la vecchia fattoria familiare, il contadino “di una volta” e animali liberi di scorrazzare per la campagna.
Proprio perché questo passato “premoderno” è sconosciuto al cittadino occidentale medio, esso è risultato affascinante ed è parso una risposta credibile a quanti, antropocentricamente, non hanno mai messo in dubbio lo status degli animali come proprietà.
La bio-violenza delle origini, quindi, con un gesto solo apparentemente rivoluzionario, ha concesso che gli animali fossero individui (e non più oggetti), ma non ha mai messo in dubbio che la loro sorte potesse essere discussa e decisa al di fuori delle scelte individuali di consumo.
Nel tempo, la narrativa sul benessere animale e sulla sostenibilità degli allevamenti si è arricchita di nuovi contributi, molti dei quali si ascrivono al ruolo sacrale che la tecnologia riveste nel legittimare il capitalismo.
Si è quindi approdati ad una bio-violenza 2.0, dove la sostenibilità e il benessere animale sono raggiungibili in un modo ancora più ideologicamente allineato, ovvero attribuendo alla specie umana ancora maggiori diritti di controllo e manipolazione sui corpi degli animali non umani.
In questo articolo si affrontano quindi, seppur in modo non esaustivo, alcune delle novità che l’industria ha proposto o introdotto per rispondere alle pressioni sul benessere animale e sulla sostenibilità ambientale e che dovrebbero essere da monito per quanti credono che gli argomenti indiretti possano portare alla liberazione animale o che producano effettivo progresso!


1. Ecologicamente modificati
Una delle prime rassicurazioni che la scienza si è premurata di offrire al consumatore ecologista è stata la possibilità di continuare a mangiare smodatamente senza incorrere in una disistima: i maiali sono stati modificati per crescere più velocemente e produrre più carne con meno mangime e quest’ultimo è stato formulato affinché rendesse le deiezioni animali meno inquinanti[1]; il fenomeno dell’antibiotico resistenza[2] ha trovato riscontro nei tentativi dell’industria di creare animali immuni da malattie[3]; e infine si sono cercate le soluzioni più diverse per arginare le emissioni delle mucche, generalmente additate come le grandi colpevoli del riscaldamento climatico. Due iniziative verranno qui ricordate: un integratore alimentare per ridurre le emissioni di metano e le mini-mucche.
Il Mootral (nome creato combinando “moo” e carbon neu-“tral”) è un integratore alimentare che, secondo il team di ricercatori che lo ha ideato, potrebbe ridurre le emissioni di metano del 30%. L’elemento distintivo, tuttavia, è che non fornirebbe solo una rassicurazione ecologica ai consumatori, ma potrebbe idealmente creare nuove forme di accumulazione capitalistica[4] che trascendono la vendita del prodotto.
I produttori, infatti, hanno dichiarato la volontà di legare questo prodotto ad altre iniziative di green economy, come le eco-certificazioni e i carbon credit: nel primo caso, si tratterebbe di un’etichetta “climate-friendly cow” che identificherebbe i prodotti derivanti da mucche a basso impatto ambientale; nel secondo caso, invece, il progetto riguarderebbe l’istituzione di un Cow Credit, simile a un Carbon Credit, ma destinato agli allevatori[5].
una "minmucca" tenuta al guinzaglio dall'allevatore
La manipolazione delle dimensioni delle mucche è un’altra strategia che viene proposta come soluzione alle emissioni di gas da parte dei bovini. Dall’India[6] agli Stati Uniti[7] si stanno diffondendo mucche alte meno di un metro “ad alta efficienza”. Come dichiara un allevatore: “su cinque [ettari] è possibile allevare 10 mini-mucche invece di due esemplari più grandi, cioè […] la terra può rendere tre volte in termini di carne, con il consumo di un terzo del mangime. E […] dieci mini-mucche emettono tanto metano quanto una di dimensioni normali[8]”.

Le dimensioni ridotte delle mucche e la conseguente possibilità di poterle ospitare in un giardino hanno fatto emergere nuove opportunità per gli ambientalisti più hardcore: l’autoproduzione di carne e latte nel cortile di casa e la possibilità di avere gratis dei tosaerba “100% naturali” delle dimensioni di un cane. 

2. Mucche multiuso
una mucca "multiuso" con il sacchetto per raccogliere il metano fissato sulla schienaIl rispetto per l’ambiente, per i diritti dei lavoratori e per le comunità locali si incontrano nel progetto dell’Istituto Nazionale di Tecnologia Agricola di Buenos Aires, dove la mucca non diventa più solo una fonte di cibo, ma si trasforma anche in una risorsa di biocarburante.
Collegando un sistema di tubi all’interno dello stomaco della mucca con un sacchetto fissato sulla schiena, è possibile raccogliere il metano prodotto dall’animale nel corso della giornata. Una volta estratto, il gas viene depurato e inserito in bombole che ne permettono la fruizione.
La mucca da “eco-mostro” viene riabilitata. Non diventerebbe soltanto una fonte di energia in aree rurali non collegate alla linea elettrica, ma potrebbe definire nuove forme di “eco-living”, come fattorie del futuro autosufficienti dal punto di vista energetico o addirittura comunità sostenibili grazie alla presenza di fattorie.
Restando, invece, nel nostro paese, in modo molto meno eclatante, sono stati proposti nuovi utilizzi degli animali ruminanti affinché la convivenza con gli allevamenti appaia sostenibile, desiderabile ed economicamente vantaggiosa. In più territori si è pensato di affidare la cura del verde pubblico a pecore e mucche, attribuendo loro l’ulteriore compito di manutenere parchi e giardini e ridurre il rischio di roghi lungo le coste. Solo a Roma, pare che una collaborazione con la Coldiretti abbia portato all’impiego di 50.000 pecore[9]  

3. Le uova che non uccidono (ovvero che uccidono solo le femmine)
una confezione di "uova che non uccidono"Conosciute all’estero come “no-kill eggs” e messe sul mercato tedesco con il brand “RespEGGt”, queste uova sostenibili sono un capolavoro di come l’industria cerchi di ridefinire termini di uso piuttosto comune come “uccidere” e “rispettare”.
Una tecnologia tedesca ha infatti permesso di stabilire il sesso dei pulcini 9 giorni dopo la fecondazione delle uova e quindi di eliminare quelle che contengono i maschi prima che si schiudano. 
manifesto pubblicitario coop con l'immagine di un pulcino, un uovo spezzato in due e lo slogan "Coop salva il pulcino maschio"
Le uova che non uccidono[10], ovviamente, continuano a sfruttare le madri e le sorelle dei pulcini che non nasceranno e a mandarle al mattatoio una volta che diventeranno poco produttive. Questo è il “rispetto” (RespEGGt).
Meno raccontati, ma comunque piuttosto evidenti, i vantaggi economici di una simile tecnologia: permettono in primo luogo di vendere ad un prezzo “premium” il prodotto e di eliminare in modo più efficiente un prodotto di scarto, la cui gestione (ovvero la determinazione del sesso) è altrimenti (e attualmente) svolta manualmente.
Sull’onda dell’entusiasmo per le uova che non uccidono, in Italia, la COOP è intervenuta molto grossolanamente con la campagna “COOP salva il pulcino maschio”.
Se il supermercato Rewe, che commercializza le uova RespEGGt, di fatto non uccide i pulcini maschi non facendoli nascere, il marketing della COOP si posiziona a metà tra il gioco di parole e la fiducia in un alto tasso di analfabetismo funzionale tra i consumatori.
La COOP non uccide il pulcino maschio perché attende che cresca e diventi gallo. La COOP salva il pulcino maschio perché lo uccide qualche mese dopo.  “Salvare” e “non uccidere” acquistano così imprevedibili significati.

4. Senza corna, senza piume: alla ricerca di un sistema più efficiente
Nel tentativo di legittimare eticamente ed ecologicamente gli allevamenti, la tecnologia ha proposto soluzioni che andrebbero a trasformare e rendere ancora meno adatti alla sopravvivenza in natura gli animali prigionieri negli allevamenti.
Qui si riportano tre studi: la mucca senza corna, il pollo senza piume e il maiale nato già castrato.
La decornazione dei vitelli è una pratica comune negli allevamenti di mucche da latte[11], eseguita con lo scopo di prevenire i danni che i bovini provvisti di corna possono provocare ai loro simili quando sono allevati in uno spazio ristretto e soprattutto di neutralizzare un pericolo potenziale per gli allevatori che entrano in contatto con gli animali.
L’azienda biotech Recombinetics ha trovato un modo più efficiente di privare i vitelli delle corna, manipolandone il DNA al fine di creare individui che non svilupperanno corna[12].
La manipolazione genetica avrebbe quindi il doppio vantaggio di risparmiare ai vitelli il dolore dell’intervento e agli allevatori i tempi e costi di esecuzione[13].  
un pollo senza piume in un pollaio (sullo sfondo, alcuni polli "tradizionali")In un’ottica welfarista (e forse fantascientifica?) i paladini che lottano per la fine delle mutilazioni senza anestesia[14] potrebbero invocare anche maiali nati senza coda, polli nati senza becco e più generalmente la creazione di animali senza quelle parti del corpo che sono di intralcio al benessere dell’allevatore e che vengono rimosse dolorosamente.
I polli senza piume e i maiali “senza castrazione”, invece, sono già stati creati[15].
I primi rispondono alla doppia necessità ambientale (e ovviamente economica) di evitare l’operazione di spiumaggio, che richiede ingenti quantità d’acqua, e di smaltire uno scarto della macellazione. 
Probabilmente il pollo senza piume non incontrerà il favore dei welfaristi (tra le altre cose, la mancanza di piume rende gli animali più soggetti a parassiti e rende i rituali di accoppiamento dolorosi), ma gli ambientalisti lo difendono: cresce più velocemente e la mancanza di piume lo rende più adatto a sopportare il caldo!
Il maiale “nato già castrato”, ovvero che rimane in uno stato prepuberale durante tutta la sua vita, è un'altra innovazione di Recombinetics, che secondo gli scienziati porrà fine alla necessità di castrare chirurgicamente i suini maschi – necessità che deriva dal fatto che la carne di maiali non castrati è meno gradevole al palato - e sarebbe quindi una vittoria del benessere animale. 

5. Ritorno a Cartesio: gli animali-macchine
Uno dei temi più dibattuti tra i bio-violenti 2.0 sono i confini della manipolazione umana sull’animale. In particolare, uno dei temi più controversi riguarda la possibilità di causare una disabilità ad un animale, qualora questa disabilità fosse in grado di aumentare il livello di benessere dell’animale prigioniero dell’allevamento.
Dal 1985, per esempio, si discute se sia etico o meno allevare galline cieche (per una mutazione naturale) qualora la cecità comportasse una diminuzione di stress[16].
Negli allevamenti intensivi gli spazi ristretti rendono frequente tra le galline la plumofagia e il cannibalismo. Ali e Cheng[17] hanno osservato come questi comportamenti siano invece assenti nelle galline cieche e che queste siano più produttive. Hanno quindi concluso che le galline senza vista potessero avere un ruolo importante nella produzione di uova del futuro, in quanto l’allevatore trarrebbe profitto da una maggiore produttività e la gallina vivrebbe una vita migliore[18].
Il dilemma del vegano welfarista è lampante: chi si batte per gabbie più grandi come accoglierà la possibilità che la cecità (non indotta, ma dalla nascita) sia preferibile perché comporta un aumento del benessere tra le galline? Se l’utilitarismo alla Singer[19] è accettato, l’utilizzo di galline cieche dovrebbe essere una scelta moralmente superiore all’utilizzo di galline vedenti in un allevamento intensivo?
Il discorso sulla cecità delle galline non è una riflessione isolata. L’anno scorso la proposta di allevare animali non coscienti ha riacquisito nuova popolarità dopo che l’Università di Oxford ha conferito un premio in “etica pratica”[20] a uno studente che sosteneva la necessità di allevare animali non senzienti. Non si vogliono qui esporre le motivazioni utilitaristiche con le quali la tesi è stata argomentata né confutarle. Si vogliono piuttosto mostrare quelli che potrebbero essere i confini della bio-violenza del futuro e i percorsi che si aprono quando si tenta di giustificare il veganismo con argomenti indiretti come l’ambientalismo o si distoglie il focus dalla liberazione in nome di una richiesta di mero benessere.
Sostenitori di gabbie più grandi, di telecamere nei mattatoi o di un trasporto “più umano” ritengono che queste riforme porteranno alla fine dei mattatoi. Ciò che però sfugge loro è che un sistema sotto attacco cerca di mantenersi egemonico formulando proposte che risultino accettabili per l’opinione pubblica. In altre parole, se la crescita di un movimento animalista è riuscita (solo!) a diffondere un dibattito sull’ingiustizia dello sfruttamento animale, l’industria ha reagito spostando il discorso sul benessere e avanzando proposte di miglioramenti per fidelizzare i consumatori più sensibili. Non sta a noi però supportare queste proposte! Il nostro compito è invece contestarle tutte, decolonizzare la nostra mente dall’idea che le istituzioni di sfruttamento siano legittime, chiamare l’oppressione con il suo nome, sabotare, liberare.
Non abbiamo il tempo di applaudire l’industria per riforme che ha attuato con l’unico scopo di tenersi in piedi e accaparrarsi nuovi consumatori. Ci stanno addomesticando e non ce ne siamo nemmeno accorti.


[1] C. Jondreville and J.-Y. Dourmad, Phosphorus in Pig Nutrition, AAAP Animal Science Congress, 2006, Korea.
[3] H. Devlin, Scientists genetically engineer pigs immune to costly disease, The Guardian, 20 Giugno 2018.
[4] La crisi ecologica è stata un’opportunità per la creazione di nuove merci naturali e quindi del capitalismo verde. Sono fioriti i commerci di emissioni e le tecnologie green; l’ecoturismo ha trasformato la natura (fiumi, foreste…) in una risorsa economica, da sfruttare e/o da privatizzare; i produttori hanno arricchito i loro prodotti con bollini che ne certificassero la sostenibilità, bollini grazie ai quali hanno potuto giustificare un aumento dei prezzi; le stesse eco-certificazioni sono diventate dei business vantaggiosi. In questo senso, la crisi ecologica ha dato quindi vita a nuove forme di accumulazione.
Per un approfondimento sulla natura come opportunità di mercato si veda:
D. Harvey, Accumulation by Dispossession in New Imperialism, 2003, Oxford, Oxford University Press, pp. 137-182.
N. Smith, Nature as Accumulation Strategy in L. Panitch e L. Colin, Socialist Register 2007: Coming to Terms with Nature, 2006, London, Merlin, pp. 16-36.
[6] A. Marszal, India to fight climate change with 'dwarf cows that rarely break wind, The Telegraph, 5 Maggio 2016.
[7] The International Miniature Cattle Breeder's Society and Registry, www.minicattle.com
[8] Clima. Ecco le mini mucche, salveranno il pianeta Il futuro per il manzo a basse emissioni, La Stampa, 27 Luglio 2010.
[9] G. Anastasio, Ceriano, mucche come tosaerba: così si risparmia, Il Giorno, 28 Novembre 2018
[10] Il prodotto in etichetta riporta “ohne Küken töten”, ovvero “senza uccidere i pulcini”
[11] La selezione naturale di individui senza corna, che è avvenuta per le razze “da carne”, è inefficiente nelle mucche da latte e avverrebbe a discapito della produttività.
[12] Recombinetics and Semex Form Alliance to Improve Animal Well-being, 2018, recombinetics.com/naturally-hornless-cattle/.
[13] Viene invece totalmente trascurato il fatto che le corna non siano un’inutile appendice. Sono l’unico strumento che le mucche avrebbero per sopravvivere in natura (similmente ad altri erbivori), hanno una funzione sociale e alcuni allevatori sostengono una correlazione tra l’assenza di corna e problemi digestivi negli animali (Nora Irrgang, Horns in cattle – implications of keeping horned cattle or not, 2012, d-nb.info/1037445961/34).
[15] E. Young, Featherless chicken creates a flap, New Scientist, 21 Maggio 2002
Recombinetics and DNA Genetics Form Alliance to End Surgical Castrations of Swine by Developing Precision Breeding Technology, 2018, recombinetics.com/2018/01/03/recombinetics-dnagenetics-castration-free-swine-alliance/.
[16] A. Ali e K.M. Cheng. Early egg production in genetically blind (rc/rc) chick-ens in comparison with sighted (rc+/rc) controls. 1985. Poultry Science Reviews 64: 789–794
P. B. Thompson. The opposite of human enhancement: Nanotechnology and the blind chicken problem, 2008, NanoEthics 2: 305–316.
S. Collins, B.  Forkman, H.H.  Kristensen, P. Sandøe e P.M. Hocking.  Investigating the importance of vision in poultry: Comparing the behaviour of blind and sighted chickens. 2011. Applied Animal Behaviour Science 133: 60–69.
P. Sandøe, P. Hocking, B. Förkman, K. Haldane, H. Kristensen, C. Palmer. The Blind Hens' Challenge: Does It Undermine the View That Only Welfare Matters in Our Dealings with Animals?. 2014 Environmental Values. 23.
[17] Ibidem.
[18] Altri studi (Collins S. et al. 2011, ibid.), tuttavia, smentiscono i risultati di Ali e Cheng e mostrano come, nonostante tra le galline cieche non ci siano episodi di cannibalismo, esse abbiano una minore socialità, difficoltà riproduttive e alimentari.
[19] Qui si vuole solo ricordare come avesse definito in un tweet del 2015 una vittoria eclatante l’abbandono delle gabbie per le galline ovaiole da parte di McDonald’s.
[20] L’ Oxford Uehiro Prize in Practical Ethics Undergraduate Category. Si veda il link di seguito per accedere al saggio dello studente: blog.practicalethics.ox.ac.uk/2018/03/oxford-uehiro-prize-in-practical-ethics-why-we-should-genetically-disenhance-animals-used-in-factory-farms/.